Più di 3000 persone, nella stragrande maggioranza migranti, hanno manifestato il 23 marzo a Bologna. Sotto una pioggia insistente, la rabbia dei migranti si mostra nella compattezza del corteo: «meglio se piove – dicono alcuni – così si vede che siamo forti». Una rabbia e una forza visibili e potenti. Un operaio migrante che il giorno prima aveva partecipato allo sciopero della logistica ha detto: «Ogni festa deve avere la sua conclusione. Ieri noi abbiamo cominciato la nostra festa. E oggi la concludiamo qui». Questa è la verità della manifestazione generale del 23 marzo 2013 a Bologna.
È stata una manifestazione nuova e diversa, potenziata dall’insubordinazione operaia e migrante che il 22/03 ha prodotto lo sciopero dei lavoratori della logistica. Ciò è vero in primo luogo perché in molti casi gli stessi migranti hanno organizzato e sostenuto tanto lo sciopero quanto la manifestazione. Ciò è però tanto più vero perché la centralità politica conquistata da questi lavoratori migranti ha aperto lo spazio d’azione affinché a Bologna migliaia di altri migranti provenienti da diverse città italiane chiedessero a gran voce la cancellazione del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, la chiusura dei centri di detenzione, una legge di cittadinanza che non si ostini a ignorare vigliaccamente i loro figli, il riconoscimento dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Si è trattato di uno spazio realmente transnazionale, che ha unito non solo idealmente Bologna con altre città europee come Amsterdam e Berlino e con il resto del mondo: dal Senegal al Pakistan, dal Bangladesh al Marocco, dalla Francia all’Albania dove già corrono sui social network le voci, le foto e i video di quello che è successo a Bologna.
La manifestazione ha così assunto un significato politico generale. Il 22 e il 23 marzo i migranti hanno alzato la testa. E mostrato agli altri lavoratori la strada da percorrere. Dai molti snodi della logistica, dalle periferie dei magazzini hanno preso il centro della città portando in piazza la loro forza, la loro vita, la loro pretesa incondizionata di futuro. Questa pretesa è quella delle donne migranti che hanno partecipato al corteo per dire che non sono qui soltanto per servire. È la pretesa dei giovani migranti che non vogliono essere educati solo per ingrossare le fila di una forza lavoro disponibile a tutto. È la pretesa di chi oggi vive sotto il segno della precarietà e che, nella determinazione dei migranti, ha visto la forza e la possibilità di alzare a sua volta la testa. C’erano operai di alcune fabbriche metalmeccaniche che da anni sostengono le lotte dei migranti. Però non erano poi molti gli italiani che hanno raccolto questa sfida generale, perché quando si muovono i migranti in quanto migranti, quando chiamano alla lotta, è forse più facile dare una generica adesione e poi fare d’altro. Ma la liberazione politica dalla condizione imposta ai migranti e la lotta contro lo sfruttamento sono oggi due cose che non si possono più tenere separate.
Il 22 e il 23 marzo i migranti hanno mostrato con forza che questo è il momento! Da Bologna, da questa rabbia e questa forza espressa in piazza, da tutte le realtà che ci hanno sostenuto e da tutte le città d’Italia che hanno seguito a distanza questa manifestazione, parte un messaggio politico chiaro: è il momento di cancellare la Bossi-Fini. È il momento di farla finita con il razzismo istituzionale che impone gerarchie profonde tra i lavoratori in Italia e in Europa. È il momento di farla finita con condizioni di lavoro e di sfruttamento che dal lavoro migrante sono diventate una condanna per tutto il lavoro. È il momento di farla finita con la precarizzazione del lavoro e delle vite. È il momento dell’organizzazione e della lotta.
Ci hanno dato del pericolo pubblico e noi balliamo, ci hanno guardato come vittime e noi lottiamo. È il momento della lotta che libera e che perciò è una festa. È questo momento e basta.