Quello che è successo la scorsa notte a Sesto Fiorentino è l’ennesimo esempio di un razzismo istituzionale che fa del sistema di accoglienza una gabbia da cui migranti e richiedenti asilo vogliono liberarsi il prima possibile. Dentro i centri di accoglienza, com’è successo a Sandrine, o fuori, come è successo ad Ali Moussa nel capannone occupato di Sesto Fiorentino, non c’è tregua per chi sta lottando per la libertà di movimento contro un regime dei confini che arriva a uccidere. Il sistema di accoglienza in Italia produce irregolarità e clandestinità, lasciando nel limbo dei dinieghi migliaia di migranti, costringendoli ad attese estenuanti, a separarsi da amici, parenti e compagni di viaggio. È un sistema di espulsione apparentemente a bassa intensità che prevede però prospettive di regolarizzazione quasi inesistenti.
Il governo intende così ridurre migranti e richiedenti asilo al silenzio e all’isolamento: quanto più si ribellano e si organizzano, tanto più sono indicati come il pericolo che va espulso come risarcimento per un impoverimento di salario e reddito che riguarda tutti: precari e precarie, operai e operaie. La riapertura di un CIE in ogni regione rientra in questa politica razzista che segue la gestione politica della mobilità imposta dall’Europa, offrendo lo spettacolo di qualche espulsione dal paese a fronte di decine di migliaia di uomini e donne a cui il razzismo istituzionale impedisce di regolarizzarsi e di muoversi.
Il compito che abbiamo di fronte è allora sovvertire questa politica razzista, che si scarica sulla pelle dei migranti, ma vuole imporre a tutti una continua precarizzazione e l’incessante sottrazione di welfare. Per questo, non solo a Bologna, è tempo di aprire un percorso organizzativo di migranti e italiani che dica no alle espulsioni, no al razzismo istituzionale, no ai centri di detenzione ed espulsione, partendo dalle rivolte quotidiane di queste settimane e dalle mobilitazioni che migranti e richiedenti hanno già avviato a Roma, Milano, Torino, Bologna.
Se espulsioni e centri di detenzione sono parte della gestione europea della mobilità, allora questo percorso dovrà essere anche transnazionale, guardando alle possibilità che si aprono altrove in Europa per rompere l’isolamento e contestare il razzismo istituzionale e le politiche di sfruttamento del lavoro migrante nazionali ed europee, come nella “giornata senza di noi” convocata per il 20 febbraio nel Regno Unito per rispondere al razzismo istituzionale e sociale scatenato dalla Brexit.