L’8 novembre scorso, al largo di Sfax, un mezzo della Guardia Costiera tunisina ha speronato una barca carica di migranti, provocandone il capovolgimento. A bordo vi erano oltre 80 persone, tra cui donne e bambini. Il bilancio è tragico: 52 morti, molti dei quali in fuga da conflitti come quello in Sudan, che continua a mietere decine di migliaia di vittime ogni mese. I pochi superstiti, salvati da un pescatore tunisino, sono stati divisi in due gruppi: uno è stato venduto ai trafficanti libici della prigione di Al-Assah, centro noto per la compravendita di esseri umani; l’altro, composto da 13 donne incinte, è stato abbandonato nel deserto. È la spietata divisione sessuale che il governo delle migrazioni porta con sé: gli uomini migranti venduti e messi a valore come schiavi; le donne migranti in forze vendute anch’esse come schiave, sebbene la loro schiavitù preveda un ulteriore carico di violenza che pesa sul loro corpo; le donne incinte considerate un corpo e un peso inutili e condannate a morire di stenti nel deserto.
Questo episodio rappresenta solo l’ultimo di una lunga serie di violenze sistematiche perpetrate dalla Guardia Costiera tunisina, con la complicità dell’Italia e dell’Unione Europea. Con gli accordi stretti nel dicembre scorso, il governo Meloni, con la benedizione di Bruxelles, ha promesso al governo tunisino la fornitura di sei vere e proprie motovedette della morte, ufficialmente destinate al “salvataggio in mare” e al contrasto dei trafficanti di esseri umani, ma che in realtà praticano il sabotaggio delle imbarcazioni dei migranti e l’abbandono in mare aperto. Come molte volte abbiamo visto succedere con la cosiddetta Guardia Costiera libica, le autorità tunisine spesso rifiutano persino di identificare le vittime, limitandosi a comunicare il numero dei morti quando non è possibile nasconderli.
Questa strategia risponde a un obiettivo chiaro: contenere i flussi migratori nel Mediterraneo centrale, indipendentemente dalle conseguenze per chi tenta la traversata, appaltando ai Paesi del Nord Africa quel lavoro sporco che l’Europa non può fare apertamente, per non macchiare di altro sangue la sua immagine di potenza in guerra per la democrazia.
In realtà, da tempo l’Europa ha dichiarato guerra alle donne e agli uomini migranti. Gli accordi con i paesi di partenza, che il governo Meloni vorrebbe secretare, sono un pezzo decisivo di questa strategia di guerra. Il disegno di legge sicurezza, accanendosi sulle e sui migranti, pretende ora di completarla ostacolando ancora di più, soprattutto per donne e uomini migranti, le possibilità di organizzarsi e di continuare a lottare per la propria libertà. Anche per questo opporsi alla guerra, lottare per la libertà delle e dei migranti, rifiutare la sicurezza delle destre, sono oggi un obiettivo comune. Per le donne e gli uomini migranti e per tutte e tutti noi.