Contro la guerra, per la Palestina. La nostra forza femminista

di ASSEMBLEA DONNE DEL COORDINAMENTO MIGRANTI

 

Come donne e queer, migranti e italiane, mobilitarci contro la violenza genocida dello Stato di Israele in Palestina, Cisgiordania e Libano è un’urgenza femminista. Quest’urgenza però sta incontrando divisioni che dobbiamo affrontare se vogliamo produrre un’opposizione forte e di massa al genocidio e a una guerra ormai mondiale.

Siamo di fronte al divieto di manifestare il 5 ottobre imposto dal Ministro Piantedosi, l’espressione più chiara dello spirito militare del Decreto sicurezza in approvazione. Chi di noi ha attraversato i confini per conquistarsi il diritto di muoversi e di restare conosce già bene la repressione. Contro questo dobbiamo dare battaglia, per lottare al fianco di donne e uomini palestinesi, libanesi e siriani che subiscono i colpi della guerra del regime israeliano e presto incontreranno il razzismo istituzionale dell’Unione Europea. Come farlo è il problema che abbiamo di fronte oggi, per conquistare non solo la forza che serve per sfidare la repressione agitata dal governo, ma anche e soprattutto la forza per abbattere i fronti e opporci al genocidio, alla guerra e alle conseguenze che hanno su di noi, anche qui in Europa.

C’è chi crede che, per essere davvero al fianco di donne e uomini palestinesi, dobbiamo dimenticare la violenza del 7 ottobre contro i civili, le donne israeliane e contro i lavoratori migranti, e che dobbiamo considerare eroi della resistenza uomini che hanno dichiarato che è giusto condannare a morte gli omosessuali per i loro peccati. C’è chi crede che tutti quelli che attaccano Israele sono nostri amici, anche se la loro autorità si regge sui dogmi patriarcali e la più violenta e cieca repressione di ogni istanza di liberazione. Lo credono anche molte femministe, che pensano di dover fare un passo indietro e accettare che la lotta contro il patriarcato taccia di fronte a quella, prioritaria, contro il colonialismo. Le assemblee di Non Una di Meno in cui siamo sono divise al loro interno anche da questa convinzione, che per altre – come noi – tradisce il femminismo intersezionale e antirazzista costruito in anni e anni di lotte. Queste divisioni permettono che accuse di islamofobia e razzismo entrino nelle assemblee femministe, agitate da chi pretende di rappresentare l’intero popolo palestinese e di imporci bandiere che non potranno mai rappresentarci. Noi non smetteremo di gridare Jin Jiyan Azadi, e crediamo che la lotta contro il patriarcato sia la prima risorsa che abbiamo contro la violenza dell’occupazione e la guerra dello Stato di Israele, non una questione secondaria o relativa. Soprattutto come donne migranti sappiamo che il femminismo non è un patrimonio occidentale.

Questi passi indietro, queste divisioni e questi attacchi per noi devono essere affrontati con coraggio per avere una mobilitazione femminista che possa fare propria la lotta per la Palestina e contro la guerra, connessa come è nei fatti alla lotta al patriarcato in tutto il mondo. Per mettere con le spalle al muro i governi che continuano a inviare armi e a supportare le scelte genocide di Netanyahu c’è bisogno di piazze come non si sono ancora viste né sentite. Queste piazze devono coinvolgere tutte e tutti coloro che si sono sollevati contro la violenza maschile, perché la guerra moltiplica questa violenza. In queste piazze devono avere voce le donne curde e iraniane che hanno combattuto contro le leggi morali e la violenza patriarcale del regime iraniano, senza per questo essere islamofobe. Devono avere voce tutte coloro che condannano senz’appello le pratiche sanguinarie, razziste e oppressive adottate dallo Stato di Israele ben prima del 7 ottobre, senza per questo essere antisemite. Devono avere voce le israeliane e gli israeliani che stanno lottando contro l’occupazione e per la liberazione degli ostaggi. Come femministe rifiutiamo il nazionalismo di Israele che celebra la parità di donne e persone Lgbtq+ arruolate nell’esercito oppressore. Come femministe non siamo d’accordo con chi pensa che la gloria del martirio consolerà palestinesi e libanesi che hanno perso figli e figlie, amiche e compagni sotto le bombe israeliane. Come femministe dobbiamo far sentire la nostra voce nel costruire piazze realmente intersezionali che lottino perché le donne e gli uomini palestinesi siano davvero liberi da ogni forma di oppressione e sfruttamento, e per opporci alla guerra che ci impone patriarcato e razzismo come leggi incontestabili.

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