La politica della sicurezza e le nostre lotte

La guerra dei governi contro gli uomini e le donne migranti si inasprisce ovunque. Mentre si dichiara impegnata in una guerra di civiltà e di valori, dall’Ucraina alla Palestina, l’Europa continua a fare la sua parte. Dopo gli ultimi mesi di fermento elettorale gruppi e partiti di destra e di sinistra fanno a gara a chi propaganda il razzismo più feroce. Pochi giorni fa la Germania ha ripristinato i controlli alle frontiere Schengen contro l’arrivo di migranti e richiedenti asilo. Negli stessi giorni i Paesi Bassi hanno dichiarato lo stato di emergenza sui migranti, con l’intenzione di chiedere all’UE di derogare alle già restrittive leggi europee sull’asilo. Il laburista inglese Starmer, dopo aver affossato il piano di deportazione in Rwanda perché troppo costoso, è corso a Roma a parlare con Meloni di guerra, di armi e di come tenere lontani i migranti dai confini, elogiando il governo per la costruzione di centri di detenzione in Albania. La proliferazione di accordi per deportazione e detenzioni, le pratiche di espulsione di massa e persecuzione rendono sempre più difficile e pericoloso migrare alla ricerca di una vita migliore. Ad incorniciare questa convergenza razzista è arrivata la nomina della nuova Commissione Von der Leyen, che ha offerto una nuova sponda politica a gruppi e partiti apertamente razzisti e sessisti in tutta Europa.

In questo quadro si inseriscono anche le misure più recenti del governo italiano, che ancora una volta non ha perso l’occasione per distinguersi in ferocia. Qualche giorno fa abbiamo sentito Salvini rivendicare la sua infame “politica dei porti chiusi” e il dovere di “difendere i confini della patria” a costo di mettere a rischio la vita di uomini, donne e minori bloccandoli per giorni sulle navi dei salvataggi. Il ministro Giorgetti ha dichiarato invece di voler “dare battaglia in Europa” contro una Commissione che chiede di estendere l’assegno unico per i figli anche alle famiglie migranti non residenti in Italia da almeno due anni. Le donne e madri migranti per il ministro e il suo governo vanno bene se tengono alta la natalità senza alcun riconoscimento o risarcimento, al prezzo di un lavoro sempre più duro e povero. È passato solo qualche giorno, poi, e la Camera ha approvato il nuovo disegno legge sulla sicurezza, che non approfondisce soltanto la stretta autoritaria già in atto da tempo sulle manifestazioni, le lotte e le occupazioni abitative, ma intensifica anche l’attacco ai migranti già avviato con politiche come la legge Cutro. L’ultimo provvedimento razzista inventato dal governo è quello di vietare l’acquisto di una SIM con il solo documento d’identità, escludendo quindi i migranti senza un permesso di soggiorno. I tanti e le tante che per colpa del razzismo istituzionale delle questure e delle prefetture rimangono per mesi senza un documento – o che ricevono un diniego alle loro richieste di asilo o anche che perdono il permesso di soggiorno dopo anni di lavoro in questo paese – non potranno avere un numero italiano né per tenersi in contatto con i familiari nei paesi di origine, né per comunicare o per organizzarsi tra loro.

Il disegno legge vuole evidentemente colpire i migranti e le loro lotte, anche nei luoghi in cui queste sono state organizzate negli ultimi anni. Infatti, prevede il carcere – da uno a sei anni – per ogni atto di resistenza, anche di “resistenza passiva”, nelle prigioni, nei CPR e nei CAS. La misura arriva dopo anni in cui in tutta Italia i migranti si sono ribellati e hanno denunciato pubblicamente le condizioni inumane e gli abusi del sistema dell’accoglienza e del rimpatrio: dalle lotte dei migranti del centro Mattei a Bologna e del CAS di Ozzano, per arrivare alle proteste dei migranti rinchiusi a Ponte Galeria e in altri CPR, come quello di via Corelli a Milano. La risposta di Piantedosi non ha niente a che vedere con la sicurezza. Il suo obiettivo è punire chi si ribella, ma non riuscirà a mettere a tacere uomini e donne che hanno attraversato confini, deserti, mari, guerre e che non smetteranno di comunicare e di organizzarsi.

L’attacco contro donne e uomini migranti contenuto nel disegno legge sulla sicurezza non può passare sotto silenzio quando si manifesta contro la repressione perché è un attacco contro tutte e tutti, uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, migranti e no, per rendere sempre più alto il costo di ogni pretesa di libertà, per rendere più difficile ogni forma di solidarietà e lotta. Opporsi alla criminalizzazione delle pratiche organizzative dei migranti significa rifiutare il gioco sporco dei governi che, anche con le loro politiche contro welfare e lavoro, vogliono scaricare sui migranti le cause della crescente povertà di chi ha la cittadinanza in tasca, ma è costretto a un lavoro sempre più precario, povero e sfruttato. Se il nuovo disegno legge sulla sicurezza vuole isolare ancora di più gli uomini e le donne migranti, abbiamo sempre più bisogno di pensare come rompere l’isolamento, per costruire insieme alle donne e agli uomini migranti una reale opposizione sociale.

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