Cutro sta per compiere il suo primo compleanno. Ci voleva tutto il razzismo di Meloni e Piantedosi per dare il nome di una strage – di cui l’Italia è responsabile – a una legge, ma d’altra parte anch’essa mira a rendere impossibile la vita dei e delle migranti. Nonostante affondi le sue radici in decenni di razzismo istituzionale italiano, la Legge Cutro è il primo atto della nuova guerra condotta dall’Italia contro uomini e donne migranti. Una guerra, d’altra parte, portata avanti dall’intera Unione Europea.
La strategia con la quale Meloni e Piantedosi stanno conducendo questa guerra è semplice: da una parte stanno velocizzando il più possibile i dinieghi per chi è arrivato da poco, dall’altra stanno allungando indefinitamente i tempi di attesa per chi è qui da qualche anno, moltiplicando le procedure, i ricorsi, le sospensioni affinché la vita di uomini e donne migranti in Italia sia resa impossibile. La Legge Cutro ha ampliato la casistica delle commissioni accelerate, che, come il Coordinamento migranti e l’Assemblea dei Migranti del Mattei denunciano da mesi, sta producendo una pioggia di dinieghi consegnati in fretta e furia a chi è arrivato negli ultimi mesi. La stessa Legge colpisce anche migliaia di migranti arrivati qui negli ultimi anni e che hanno avuto il permesso speciale prima del decreto: anche per loro è diventata impraticabile la conversione del permesso speciale in permesso per lavoro, ovvero la fondamentale procedura con la quale i migranti si sono conquistati la possibilità di rimanere legalmente in Italia anche in un periodo in cui la protezione internazionale è sotto attacco.
Negli ultimi mesi anche la Questura di Bologna, come altre in Italia, ha negato sistematicamente la conversione dei permessi anche a chi ne avrebbe diritto in quanto arrivato in Italia prima del Decreto Cutro. Su mandato del Ministero dell’Interno essa fa prosegue la guerra contro i migranti facendo finta di non conoscere un principio basilare del diritto: la non retroattività delle leggi. Nel frattempo diverse sentenze dei TAR e dei tribunali in tutta Italia hanno ribadito che, per coloro che hanno ottenuto il permesso speciale prima del decreto, la conversione in permesso per lavoro si può fare. Con buona pace del Ministero, che continua perseguitare i migranti che vivono e lavorano in una città che il ministro conosce molto bene perché ne è stato il prefetto.
La gestione razzista dei permessi di soggiorno da parte della questura è inoltre evidente dal fatto che i tempi dei rinnovi dei normali permessi per lavoro sono deliberatamente e discrezionalmente sempre più allungati. Si attendono 4-5 mesi per le impronte e, una volta rilasciate, altri 4-5 mesi devono passare prima di avere il permesso in tasca. A niente serve lo sportello per avere informazioni sulle pratiche di rinnovo che il Comune ha sbandierato pubblicamente come prova della sua accoglienza democratica. Questo sportello voluto e concordato con la Questura, di fronte alla gestione politica dei permessi si risolve in una farsa sulla pelle dei migranti che a Bologna vivono e lavorano.
A questo si deve aggiungere il filo diretto e accelerato che si è creato negli ultimi mesi tra Questura e sistema penale. Basta avere una denuncia – anche non passata in giudicato – a proprio carico per bloccare la pratica di rinnovo e tenere i migranti in attesa che la giustizia (ma quale giustizia?!) faccia il suo corso. Ci sono migranti che attendono risposte per poter rinnovare il permesso da oltre due anni, senza poter firmare un contratto di lavoro. La Questura e carcere collaborano poi per revocare a man bassa un enorme numero di permessi UE. Appena un migrante entra in carcere, anche per misura cautelare, ovvero senza condanna, gli arrivano immediatamente le comunicazioni di revoca del permesso di soggiorno o di diniego.
Pretendiamo perciò che la questura di Bologna la smetta di allungare in modo arbitrario i tempi e i costi per ottenere un permesso. Non è accettabile che i migranti debbano continuamente rivolgersi ai tribunali per vedere riconosciuti i loro diritti. Non è accettabile che si attendano anni per ricevere un permesso e una conversione, per poi perderlo in pochi giorni con una semplice denuncia. Noi pretendiamo che la questura di Bologna converta i permessi in tempi brevi ai migranti e la smetta di rinviarli al tribunale, allungando tempi e costi delle conversioni. La vita dei migranti non può rimanere sospesa né appesa all’arbitrio dell’amministrazione. Il loro reddito non può essere ulteriormente impoverito per le scelte razziste delle istituzioni.