Una politica femminista di pace. Perché questa guerra ci riguarda.

di Assemblea Donne del Coordinamento Migranti

La guerra in Ucraina è una guerra patriarcale, per questo opporci alla guerra è la nostra priorità. Lo abbiamo detto l’8 marzo durante lo sciopero femminista e transfemminista di Non Una di Meno: come donne, lavoratrici, migranti noi scegliamo la pace e quindi scegliamo di lottare contro la violenza patriarcale e razzista che questa guerra sta estremizzando. Dobbiamo farlo rompendo tutti i fronti che la guerra cerca di imporci con la violenza delle armi, delle politiche dei governi e delle parole. Non accettiamo di dover scegliere tra uno Stato e un altro, tra una bandiera nazionale e un’altra, tra una potenza mondiale e un’altra. Essere femministe per noi significa schierarci senza esitazioni e su tutti i fronti contro chi fa la guerra per imporre dominio, oppressione e sfruttamento e dalla parte di chi lotta contro l’oppressione, di chi sceglie di migrare per non subirla, di chi resta per difendere ciò che ha.

8m 2022 a Bologna


La guerra in Ucraina è una guerra patriarcale perché comunica un messaggio chiaro: non è possibile ribellarsi contro l’autorità. Questo è lo stesso messaggio che ogni atto di violenza maschile comunica alle donne che non si sottomettono e che per questo devono essere colpite. Con la violenza della guerra, Putin vuole imporre la sua autorità a una popolazione che non vuole accettarla. Ma noi sappiamo che l’autorità che ricorre alla violenza è fragile: la nostra presa di posizione contro la guerra trae la propria forza dal movimento transnazionale dello sciopero femminista e transfemminista che ha sfidato la violenza patriarcale in ogni luogo del mondo. Alla violenza della guerra patriarcale dobbiamo contrapporre la nostra forza collettiva e transnazionale. Questa è la politica affermata da milioni di donne e persone lgbtqia+ che hanno manifestato l’8 marzo.

La guerra in Ucraina è una guerra patriarcale perché sta riaffermando con le bombe tutte le gerarchie che noi contestiamo. Gli uomini devono essere soldati e dimostrare combattendo di essere veri maschi patrioti. Le donne sono trattate come deboli e impotenti oggetti di protezione. Così l’Unione Europa ‒ che fino a ieri ha costruito barriere sui confini, che lega il permesso di soggiorno al lavoro o alla famiglia e ci obbliga ad accettare salari miseri o mariti violenti ‒ oggi può presentarsi come benevolo patriarca democratico che proteggerà le donne in fuga dalla guerra, ma soltanto se hanno la pelle bianca. Noi sappiamo che le donne ucraine non sono solo vittime da proteggere, madri, mogli e figlie la cui unica missione è di conservare l’unità della patria-famiglia e della nazione. Noi sappiamo che, nonostante la guerra, le donne ucraine vivono, lavorano e lottano per non essere oppresse e per conquistarsi la propria autonomia. Sappiamo anche che non tutti gli uomini vogliono essere soldati: tanti restano in Ucraina perché la legge marziale non lascia loro scelta; altri resistono, insieme a molte donne, per difendere la propria libertà di scegliere; altri ancora cercano di fuggire perché non vogliono combattere nessuna guerra; alcun* non possono fuggire perché sui loro documenti è registrato un sesso maschile in cui non si riconoscono. Per noi essere femministe e lottare per la pace significa rifiutare le posizioni, i ruoli e le gerarchie che la guerra e le politiche razziste degli Stati cercano di imporre sulla base del sesso e del colore della pelle.

La guerra in Ucraina è una guerra patriarcale perché con la sua violenza irrigidisce la divisione sessuale del lavoro. Dall’Ucraina non arrivano profughi, ma profughe, donne che avranno un permesso di soggiorno temporaneo con cui potranno lavorare e noi sappiamo a quali condizioni. Per ottenere un briciolo di indipendenza dopo avere perso tutto, le donne ucraine non avranno altra scelta che farsi sfruttare nelle case in cambio di salari miseri o nei servizi essenziali per compensare un welfare inesistente. In Italia padroni e padroncini si sono già offerti di farle lavorare in settori, come quello turistico, dove la forza lavoro è poca perché i salari sono bassissimi. Politica femminista di pace significa organizzarci e lottare insieme a queste donne perché lo sfruttamento non sia il prezzo che devono pagare per avere salva la vita e ottenere la propria libertà.

La guerra in Ucraina è una guerra patriarcale e transnazionale. Va al di là dei confini e arriva nelle case europee, dove centinaia di migliaia di donne migranti provenienti da quel paese lavorano da anni per costruirsi un futuro, e per le quali migrare è stato un modo di rifiutare padri e mariti padroni. La guerra sta già rubando questo futuro a tutte quelle che ora, invece di mandare il proprio salario in Ucraina per far studiare figlie e figli e mettere da parte qualche risparmio, dovranno usarlo per aiutare parenti e amiche in fuga al di qua del confine, dove il loro salario vale pochissimo. Moltissime di queste profughe sono accolte in Polonia, nella Repubblica Ceca, in Moldavia, luoghi dai quali provengono milioni di lavoratrici e lavoratori migranti impiegati nelle fabbriche, nella logistica, nelle case in ogni parte d’Europa e che la guerra metterà ancora di più in movimento. La nostra politica femminista di pace deve essere transnazionale e per questo stiamo dalla parte del lavoro migrante contro lo sfruttamento sessista e razzista intensificato dalla guerra.


Contro questa guerra patriarcale hanno preso tempestivamente parola le femministe russe. La loro voce ha tagliato in due i fronti nazionalisti e la politica degli Stati. Contro di loro si è scatenata la violenza della polizia russa, che usa lo stupro come arma o minaccia per metterle a tacere. Per questo la loro voce deve risuonare in ogni lotta femminista e transfemminista. La guerra ci riguarda direttamente anche se non siamo sotto le bombe. La guerra sta cambiando tutto, sta cercando di azzerare tutte le conquiste e le pretese avanzate negli ultimi anni dalle donne, dalle persone lgbtqia+ e dal loro movimento transnazionale. La guerra sta dettando con la violenza le regole autoritarie e patriarcali della ricostruzione post-pandemica. Non è mai stato così importante trasformare ogni spazio femminista e transfemminista in un luogo di confronto e di presa di parola collettiva contro la guerra, ogni iniziativa femminista in un progetto di organizzazione capace di attraversare i confini e di riconoscere un nemico diverso da quelli imposti dai fronti nazionali e geopolitici della guerra.

La guerra patriarcale e i suoi agenti, qualunque sia la loro bandiera, sono il nostro nemico. Stare dalla parte di donne, lavoratrici, migranti, di coloro che lottano per non morire e strappare il loro futuro alla presa della guerra: questa è la nostra politica femminista transnazionale di pace.

8m 2022 a Milano

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