di ASSEMBLEA DELLE DONNE DEL COORDINAMENTO MIGRANTI
Noi donne, nere e bianche, migranti e italiane, lavoratrici e studentesse, viviamo condizioni difficili da molto tempo e la pandemia le ha rese più dure. Per questo ciascuna di noi lotta ogni giorno sfidando chi crede di poterci comandare nei magazzini o lungo le corsie degli ospedali, nei negozi o negli uffici, contro chi crede che non possiamo parlare perché siamo donne. Per questo abbiamo deciso di organizzarci, perché le nostre singole lotte quotidiane diventino una lotta collettiva. Questa è la novità politica delle piazze che insieme ad altre e altri abbiamo costruito in Italia e in molti altri paesi il 30 maggio, il 20 giugno, il 23 luglio per far sentire la nostra voce contro la violenza maschile e razzista, per rivendicare un permesso di soggiorno europeo senza condizioni. Siamo scese in piazza e non siamo più sole quando dobbiamo pensare a come rinnovare il permesso o ottenere la cittadinanza, quando dobbiamo comprare un contratto per fare una regolarizzazione che serve solo ad avere il «diritto a essere sfruttate secondo la legge», quando diciamo no ai maltrattamenti dei capi: la violenza non può essere merce di scambio per non perdere un lavoro per noi “essenziale” a pagare gli affitti e le bollette. Siamo scese in piazza e non possiamo più essere considerate aggressive, isteriche, arrabbiate senza ragione quando decidiamo di alzare la testa. Non siamo più sole perché lottiamo insieme. Non siamo più divise e isolate perché ora sappiamo di poter costruire una forza comune.
Viviamo vite diverse. Siamo arrivate qui perché pretendiamo una vita migliore per noi e per i nostri figli. Siamo nate qui e abbiamo maggiori possibilità grazie alle lotte delle nostre madri e dei nostri padri. Siamo arrivate qui da ragazze per studiare e fare ciò che ci piace. Siamo arrivate qui per salvarci dalle guerre, violenze, regimi autoritari con la speranza di trovare un posto migliore rispetto a quelli che ci siamo lasciate alle spalle. Ma sul posto di lavoro, a scuola, per la strada, il razzismo ci comunica che dovremmo accettare di essere subordinate, che quello è il nostro posto, che non dobbiamo alzare la testa. Le molestie sessuali ci ricordano continuamente che dobbiamo essere sottomesse perché siamo donne. In ogni luogo che attraversiamo, persino dove lottiamo e prendiamo parola come donne, c’è qualche uomo che si affretta a spiegarci come funziona la vita. Non faremo giri di parole perché non abbiamo tempo: noi non abbiamo bisogno di lezioni, perché tutti i giorni rifiutiamo che ci venga detto che tipo di donne dobbiamo essere e come ci dovremmo comportare.
Per molte di noi lottare in questi mesi e in questi anni ha significato non solo pagare gli scioperi con punizioni e licenziamenti ma anche affrontare i mariti e i padri quando non vogliono che lottiamo. Sanno bene che per noi lo sciopero contro l’azienda non è mai solo questo, che le proteste contro il razzismo e le leggi del governo e dell’Unione Europea sono anche il nostro grido di libertà contro chiunque pensi di poterci dire come vivere o che cosa fare, dentro e fuori casa. Siamo stanche di lavori da più di 40 ore la settimana per pochi spicci e senza pause. Siamo stanche di sanificare spazi a nostro rischio e non ricevere buste paga decenti. Siamo stanche di dover aspettare anni per avere la cittadinanza, e del razzismo che continua a farci sentire inferiori anche quando l’abbiamo ottenuta. Siamo stanche di essere considerate brave a pulire perché veniamo dall’Est.
Come Assemblea delle donne del Coordinamento migranti sappiamo che dobbiamo lottare insieme, perché quando lottiamo è l’unico momento in cui non siamo sole. Sappiamo infatti che finché ci saranno donne incatenate al ricatto del permesso ci saranno anche le violenze razziste a scuola, in strada, a lavoro. Noi vogliamo dire a tutte le donne che c’è un luogo per comunicare liberamente e organizzarsi, uno spazio collettivo che non riproduce l’isolamento e le gerarchie di una società che ci vuole subordinate e silenziose. L’Assemblea delle donne mostra che è possibile rompere i confini che ci dividono al lavoro, nelle scuole e nelle università, dentro e fuori le case e avere una voce collettiva. E questa voce vogliamo farla sentire: per questo stiamo organizzando una mobilitazione per il prossimo autunno che unirà donne migranti, nere e italiane contro il razzismo in tutte le sue forme, contro la violenza maschile e lo sfruttamento. Perché essenziale è la nostra lotta.