Salvini è sotto attacco: i porti virtualmente chiusi via twitter non reggono all’urto del movimento dei migranti. Nei giorni in cui Salvini faceva lo sbruffone con le Ong, circa 500 migranti sbarcavano i Italia nell’indifferenza generale. È in difficoltà, specie perché dal governo libico, alleato fondamentale per contenere le partenze con i mezzi più brutali, giungono minacce di chiudere i centri di detenzione e lasciare che i migranti attraversino il Mediterraneo. Il ministro della paura sa bene comunque che lo spettacolo di questa fallimentare guerra per mare può tradursi in un aumento di consensi e alimentare il circolo vizioso del vittimismo bianco e del razzismo. La battaglia navale di Salvini serve d’altronde a dare ai migranti un assaggio del clima di violenza, paura e ricatto che li aspetta in Italia. È infatti la faccia visibile di un’altra guerra alle e ai migranti, quella condotta da commissioni, questure e prefetture sulla terraferma. Dietro il blocco dei porti del Mediterraneo, e la disperata proposta di costruire muri sulla frontiera orientale, dietro il rifiuto di accogliere, non c’è semplicemente il progetto di una società bianca e disumana, ma piuttosto un processo di trasformazione silenziosa delle condizioni politiche dello sfruttamento per i richiedenti asilo e per tutti e tutte le migranti nel loro complesso. Una trasformazione che, mentre si regge sull’impossibilità di accedere al permesso di soggiorno, deve rendere palpabile la differenza tra le condizioni degli italiani e quelle dei migranti, così da separarne i destini e stabilire una precisa gerarchia.
Le percentuali altissime di dinieghi per le domande di asilo (oltre l’80%) rispondono alle richieste di sicurezza del ministro dell’interno e da quelle dei padroni, alla ricerca di un lavoro sempre più povero e sottopagato. Trovano così migranti sotto ricatto e sempre sull’orlo della clandestinità, anche per via delle interminabili attese delle commissioni territoriali e dei sistematici ritardi nella concessione e nel rinnovo dei permessi. Spesso ci vogliono più di 12 mesi per rinnovare un permesso che scade dopo tre mesi. Una realtà che i migranti e le migranti che risiedono in Italia da più anni conoscono molto bene, ma che i richiedenti asilo vivono per giunta nella gabbia sempre più stretta dell’accoglienza: nuove regole e maggior controllo delle loro scelte e dei loro movimenti, in cambio di sempre meno servizi.
Centinaia di migranti, uomini e donne, lo scorso 6 aprile sono scesi in piazza a Bologna per manifestare contro un razzismo che si fa scudo dei documenti per costringerli a una guerra quotidiana per il diritto a rimanere in Europa. È il razzismo che sta dentro la legge e le istituzioni e che non ha risparmiato neanche il Comune di Bologna che, nonostante i proclami, fino a quel momento aveva continuato ad applicare il decreto Salvini, impedendo la registrazione anagrafica ai richiedenti asilo. La successiva sentenza del Tribunale di Bologna ha dato ragione ai e alle migranti scese in piazza, aprendo uno spiraglio in una situazione che tuttavia continua a essere segnata dal razzismo e dallo sfruttamento per migliaia di uomini e donne. Sotto la superficie di un’umanità da negare o da salvare, sono state ormai create le condizioni politiche per fare dei richiedenti asilo una forza lavoro flessibile e in una situazione prossima allo stato servile e, proprio per questo, sempre più presente e indispensabile in settori economici come quello della logistica e dell’agricoltura.
Essere in possesso dei documenti è oggi la prima condizione per poter sfuggire a una situazione di ricatto e sfruttamento che sempre più richiedenti asilo stanno vivendo in questo paese, e che si ripercuote anche su chi in questo paese vive e lavora da tanti anni ma è ancora soggetto al ricatto del permesso di soggiorno per lavoro. Come mostrano i numeri crescenti dei richiedenti asilo impiegati, con contratti più o meno temporanei, nei magazzini della logistica, l’accesso ai documenti comporta la possibilità di poter prendere parola, di non sottostare più al ricatto di esser spostati da un magazzino all’altro, al ricatto degli straordinari obbligatori, al ricatto dei ritardi nei pagamenti. Per poi arrivare ai casi limite, avvenuti in alcuni magazzini, in cui i richiedenti asilo vengono usati alla stregua di crumiri, forza lavoro di riserva da tenere a disposizione nel caso in cui altri migranti entrino in sciopero.
Proprio perché vengono messi l’uno contro l’altro, non esistono per le e i migranti vie di uscita individuali. Essi devono essere sfruttabili secondo le esigenze del mercato, restare in silenzio e non alzare la testa. Questo è il significato dell’affermazione salviniana che in questo paese si entra in punta di piedi e chiedendo per favore. Questa è la verità del decreto Salvini e anche del decreto bis. Questo ci dicono anche i ripetuti silenzi del governo e delle istituzioni nei confronti degli atti di razzismo che continuano a moltiplicarsi nelle nostre città. La mobilitazione contro il trasferimento a Caltanissetta dei migranti del Cas di via Mattei sembrava aver aperto uno spazio per una presa di parola comune di italiani e migranti. Tuttavia, si è presto richiuso a dimostrazione di come il razzismo di governo non è solo un progetto disumano ma anche un disegno volto a bloccare l’iniziativa politica delle e dei migranti
Dobbiamo essere in grado di organizzare uno spazio di possibilità per una presa di parola collettiva contro la Questura e la Prefettura di Bologna, contro la loro gestione politica del permesso di soggiorno. La libertà dei e delle migranti non può dipendere da permessi, ricevute, garanzie di domicilio e attestati di residenza. Non può dipendere dalle condizioni politiche che il razzismo di governo determina per negare ai migranti di costruirsi una vita migliore in questo paese e altrove. Per questo, nei prossimi giorni pubblicheremo altre denunce contro l’arbitrio e la discrezionalità della Questura di Bologna al servizio di Salvini, che sono un attacco costante alla libertà delle e dei migranti.