Verso lo sciopero globale delle donne del prossimo 8 marzo pubblichiamo un’intervista a Selua, giovane marocchina di 33 anni che è partita per cambiare la sua vita e scegliere come viverla. Selua affronta ogni giorno il ricatto del permesso di soggiorno, l’incubo della scadenza e dei tempi di rinnovo che la obbligano ad accettare lavori precari che non vorrebbe fare, in condizioni di sfruttamento e di razzismo che Selua non intende più sopportare. È partita, dice, per cambiare tutto, perché per ora non vuole sposarsi, vuole una vita sua e non si arrende di fronte a chi le dice che dovrebbe mettere su famiglia a ogni costo o a chi, come questo governo, le dice che deve sopportare tutto per restare o andare via. Non si arrende di fronte a chi la tratta come un’estranea di cui diffidare sempre. E non si arrende a passare la sua vita in case altrui, che restano sempre tali, dove nulla è suo – nemmeno i rapporti con le persone – e la cura diventa una catena di mansioni da svolgere per poi tornare a essere un’intrusa. Selua racconta che vivere con una persona che soffre è dura e accompagnare una vita che sta finendo rende immobile la propria, sospesa nel tempo del lavoro domestico, delle scadenze del permesso, delle scadenze dei contratti. Selua non si arrende, non rimane in silenzio mentre la sua vita viene svuotata di valore. L’8 marzo Selua scenderà in piazza per un permesso senza condizioni e svincolato dal lavoro, quel permesso europeo che Non Una Di Meno ha reso uno dei suoi campi di lotta fondamentali e che per Selua è il primo strumento di liberazione dall’oppressione e dallo sfruttamento. L’8 marzo Selua sarà insieme al movimento globale delle donne per dire: “se la mia vita non cambia allora sciopero!”
CM: Lo sciopero dell’otto marzo è uno sciopero globale contro la violenza sulle donne e questa violenza per le donne significa molte cose. Nel caso delle migranti, è una violenza che prende la forma del ricatto del permesso di soggiorno, e le costringe a svolgere determinati lavori. Qual è la tua esperienza?
Sono arrivata 9 anni fa dal Marocco. All’inizio mi sono appoggiata da familiari e per un anno quasi sono stata senza lavoro. Non parlavo ancora bene l’italiano, non sapevo nulla. Il primo lavoro che ho fatto è stato come metalmeccanica in un’azienda di chiavi e serrature. Ho lavorato lì per due anni: il primo anno è andato bene, il secondo non molto. La moglie del capo era molto gelosa, sospettosa, perché lui era sempre gentile con me. Allora ho aspettato di fare il permesso di soggiorno e poi me ne sono andata. Gli altri lavori? Badante, badante, badante. Per me fare la badante non va bene, mi sono stufata di quel lavoro. A me piacciono lavori dove sei attiva, fai cose, vai e torni a casa, hai la tua libertà. Come badante non hai un giorno di riposo, le ore libere non esistono, i figli degli anziani di cui ti prendi cura sono duri e diffidenti con te. L’ultimo lavoro da badante che ho fatto era in una casa dove in ogni stanza c’era una telecamera. Non me l’hanno detto prima, l’ho scoperto io un giorno. Lavorare con signore anziane è dura: quando la vesti ti picchia, ti tira i capelli, ti urla per niente e i figli ti rimproverano, ti accusano di farla arrabbiare, non capiscono che è lei che è malata. Urla di notte e non puoi mai tornare a dormire. Mi alzo la mattina e sono sfinita sai? Quando non dormi, sei nervosa, stanca. Ma ti alzi e bisogna fare da mangiare, pulire casa. Io faccio quello per prima cosa e la signora non ti lascia fare, comincia a urlare di non toccare, “è la mia roba, è la mia casa, comando io”. Non puoi fare nulla, nulla è tuo. Se vai un attimo nella tua cameretta lei ti chiama subito. Ogni tanto dorme una notte intera…ogni tanto!
Ora sono sei mesi che sono disoccupata e vivo con una signora che mi affitta una stanza. Vado da un’assistente sociale che sta cercando di aiutarmi a trovare lavoro ma c’è solo questo disponibile: badante. Non posso fare altro ma non voglio fare questo. Io sono attiva, voglio un lavoro in cui vai e torni a casa come tutte le persone, non è come sedere 24 h su 24 con un’anziana che soffre, la sua vita sta finendo, è passata…e la mia…non so come dire. Poi mi rattrista. Se lei sta male anche io mi sento male, vedi la sua vita finire, le sue sofferenze.
CM: Il movimento che organizza lo sciopero femminista rivendica un permesso di soggiorno europeo e incondizionato. Per te cosa rappresenta il permesso?
Quando sono arrivata ho fatto subito il permesso da un anno con il contratto da badante. Lo rinnovo con il contratto di lavoro ma quando sono senza lavoro è dura, durissima, perché vuol dire che devo prendere quello che c’è, qualsiasi lavoro. L’ultima volta che dovevo rinnovare il permesso ho accettato un lavoro in una fabbrica di frutta vicino Bologna, in provincia. C’erano i turni di solo sei ore e non mi pagavano bene, mi facevano un contratto di un mese e poi un altro mese. In più io non ho la macchina, dovevo chiedere passaggi a qualcuno per tornare a casa. Ho accettato perché dovevo rinnovare il permesso e loro erano disposti ad assumermi subito.
Adesso sono sospesa, non so cosa troverò e non so che permesso mi darà la questura, per quanto tempo. Per il permesso sono costretta ad accettare tutto. Una volta mi restavano 15 giorni di tempo per il rinnovo e allora sono andata da una signora a Casalecchio a fare la badante. Lei era un po’…scusami la parola, razzista. Non le piacciono i musulmani: “perché fai questo, perché fai quello, perché non bevi il vino, perché non mangi il maiale”, hai capito? Si arrabbiava per ogni cosa. Mi mancavano solo 4 giorni per fare il rinnovo e mi ha mandato via. Senza dirmelo i suoi familiari hanno cercato un’altra persona. Mi ha detto “io volevo un’altra, tu non sai parlare bene”. Ma allora perché mi assumi per 11 giorni? Lei mi ha detto che voleva un’altra razza…russa o rumena.
CM: Pensi che questo governo e le sue politiche razziste, ad esempio il Decreto Salvini che sta togliendo i permessi umanitari, stia fomentando il razzismo e peggiorando le condizioni di lavoro e lo sfruttamento, anche dividendo i migranti?
Sì senza dubbio. È dura, tutti i giorni. Stavo bene con mia madre in Marocco, ma poi la mia vita è cambiata totalmente. Non voglio tornare in Marocco perché lì non ho niente, non c’è niente, non posso fare nulla. Ho perso i miei genitori prima di venire qui. Mio padre quando avevo un anno e mia madre prima che io partissi, per questo sono venuta. Non volevo restare lì senza di loro. I miei fratelli hanno le loro famiglie e io ora non voglio sposarmi. Non voglio sposarmi perché devo, non ho ancora trovato una persona giusta. In Marocco pensano che una donna si debba sposare, ma io non sono così. Normale o non normale, io sono così.
CM: Lo sciopero femminista è uno sciopero contro la violenza maschile ma anche contro la violenza dello sfruttamento, delle molestie e dei ricatti sul lavoro. Tu pensi sia un’occasione per prendere parola?
S.: Sì, è giusto. Quando lavoravo a Casalecchio, il mio capo mi trattava tanto gentilmente quando aveva bisogno di qualcosa, portare la sua mamma all’ospedale etc., ma appena finito il lavoro che dovevo fare cominciava a trattarmi duramente, freddamente, con distanza. Lo so che la vita è così, è dura, però…noi veniamo qui per cambiarla.
Quando la mia amica mi ha detto dello sciopero, io ho risposto subito “va bene vengo, ci sono!” Perché sì, bisogna farlo. Io sarò in piazza l’8.
CM: Questo governo ha creato divisioni tra migranti e italiani ma anche tra gli stessi migranti e questo indebolisce le lotte. Con questo sciopero vogliamo rompere queste divisioni, riprenderci la nostra forza di lottare insieme. Tu cosa ne pensi?
S.: È vero. Tolgono i permessi ai rifugiati per cosa? Per farli stare in strada? Sono passati 8 anni della mia vita, se penso che potrebbero dirmi adesso “vai via” per me non va bene, non va bene! Non ho il contratto per fare la carta di soggiorno: quando hai il cud non hai il contratto, quando hai il contratto non hai il cud…capito? È impossibile! Perché io non lavoro sempre, perché i contratti sono così, un mese, due mesi, quattro mesi, sei mesi… e poi fine, devo sempre cambiare lavoro, cercare altro per rinnovare il permesso.
CM: Pensi che per le donne migranti sia più dura da questo punto di vista?
S.: Sì, ma anche per gli uomini è dura. Non trovano lavoro, poi anche loro fanno i badanti per gli anziani alle volte. È la vita senza soldi, senza lavoro, senza niente che è dura. Chi paga l’affitto per esempio se non hai lavoro?
Qui ti sostengono solo le amiche, ma non sono mai riuscita a fare amicizia con gli italiani. Ho anche paura di fare amicizia con gli italiani, perché io sono sempre stata guardata con sospetto. Poi è strano perché gli italiani lo sanno cos’è il razzismo, l’hanno provato, lo provano quando si muovono altrove…non so, non capisco.
Noi perché cambiamo la nostra vita? Per migliorare, per stare bene. Non sono venuta fin qui per soffrire.
CM: Se dovessi dire qual è il tuo motivo o i tuoi motivi per scioperare cosa diresti?
S.: Il permesso! Sciopero per il permesso, per non avere più questo obbligo, perché deve finire la storia che se non hai il permesso non hai il lavoro, se non hai il lavoro non ti danno il permesso, capito? Questa per me è la prima cosa e dopo vediamo…per il lavoro, per il razzismo, per tante cose!