Lungo tutto il loro viaggio per arrivare in Europa, le donne migranti incontrano la violenza maschile nelle forme più brutali. Di fronte alle Commissioni territoriali, le migranti sono perciò costrette a raccontare anche le loro esperienze di violenza. Accade però che, durante le audizioni, le Commissioni territoriali giudichino sommariamente i loro racconti, reputandoli soltanto storie, episodi inventati per conquistarsi il diritto alla protezione umanitaria. Questo è accaduto ad Amina (il nome è di fantasia, ma la storia è vera), che di fronte a sé ha trovato soltanto commissari maschi, nonostante la legge preveda la parità di genere nella composizione delle commissioni. Uomini che l’hanno derisa, che alla violenza hanno aggiunto l’umiliazione e, infine, all’umiliazione il diniego. Alla Prefettura, che delle Commissioni territoriali è responsabile, chiediamo allora: come può pensare che un uomo abbia la facoltà di decidere sulla veridicità del racconto di una donna che ha subito violenza? Che sia una donna, una nera, una migrante legittima forse il sospetto che la trasforma in un’imputata? Forse l’urgenza di comminare quanti più dinieghi possibile può cancellare le violenze subite dalle donne come Amina, rendendole storie che non vale nemmeno la pena ascoltare?
In attesa di una gentile risposta dalla Prefettura, vi informiamo che Amina non si è lasciata umiliare. Ha continuato a lottare e, alla fine, dopo un’odissea di due anni in cui ha presentato ricorso contro il diniego, un giudice le ha dato ragione. Oggi Amina gode di uno status di rifugiata internazionale e l’8 marzo sarà in piazza per lottare contro la violenza sulle donne e il razzismo, quello fascista e quello istituzionale di tutti gli uomini che, sulla base del proprio ruolo, pensano di poter imporre alle donne migranti la “verità” di un patriarcato bianco duro a morire.
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