Due giorni fa 162 donne e bambini migranti sono partiti da Tripoli e atterrati a Roma. È il primo corridoio umanitario tra Italia e Libia, annuncia con soddisfazione il ministro Minniti in pieno spirito natalizio (d’estate, infatti, invece dei voli umanitari, preferisce camionette e idranti). E chi d’altronde non sarebbe soddisfatto a vedere che 162 migranti sono stati strappati alle violenze dei lager libici, eretti per giunta a protezione delle frontiere esterne dell’Ue in seguito agli accordi italo-libici, e che i voli di Stato italiani non trasportano solo salme di “re guerrieri” che, tra le altre cose, si facevano chiamare Imperatore d’Etiopia. Nella soddisfazione generale, lasciateci interrompere questo canto di Natale con un paio di considerazioni stonate.
La prima è la conferma di un vecchio sospetto, ovvero che a furia di rivendicare corridoi umanitari e la legalizzazione dell’immigrazione, alla fine il governo italiano si sarebbe strumentalmente mosso verso questa direzione. Vedremo se la realtà confermerà i numeri, ma si parla di una politica da estendere, di numeri destinati a salire, di 5-10 mila migranti “in condizioni di fragilità” che potrebbero raggiungere l’Europa senza dover rischiare la vita nel Mediterraneo ma attraverso corridoi umanitari sicuri. Bene, ma intanto si afferma che c’è un solo criterio per accedere a quel numero di “fortunati” che possono accedere ai canali umanitari. E questo criterio è evidentemente la fragilità, che continua a essere la condizione associata a donne e bambini. Non si tratta di una gentile concessione dello Stato italiano, perché è vero che questa presunta condizione di fragilità garantisce a un certo numero di donne migranti un lasciapassare umanitario, ma lo fa in maniera tale da marchiarle a vita. Anche in Europa continueranno a essere considerate fragili: l’atto di libertà e spesso di ribellione che accompagna le migrazioni delle donne finisce così tra le cure paternalistiche e patriarcali di centri diocesani e case famiglia. La fragilità le rende legali, ma la legge non le rende libere.
La seconda stonatura ha a che fare con il prezzo politico di questo primo esperimento di corridoio umanitario. Non siamo di fronte solo a una manovra elettorale per risollevare un Partito democratico in crisi e far dimenticare il triste spettacolo offerto al Senato sullo jus soli (per non dire dello sfrontato razzismo a 5 stelle), che condanna al ricatto del permesso di soggiorno 800.000 giovani figli e figlie di migranti che avrebbero potuto avere la cittadinanza. Questo sfoggio congiunto di umanità tra Italia, Onu, Libia e Cei costerà caro a quei migranti esclusi dai corridoi umanitari perché non considerati in condizioni di “fragilità”. Saranno tutte e tutti i migranti in cerca di un futuro diverso, in fuga comunque dalla violenza e dalla miseria che la rende invisibile, a pagare il prezzo più salato di tanta umanità, perché la definizione di una via legale all’emigrazione approfondisce la separazione tra rifugiati e migranti economici e condanna all’illegalità le pretese di questi ultimi. Con la determinazione di un uomo che insegue i propri sogni – o è inseguito dai propri incubi –, Minniti l’ha detto chiaramente: gli sbarchi devono finire, l’unica via d’accesso all’Europa saranno i corridoi umanitari e saranno i governi europei a stabilire chi ne avrà diritto.
I corridoi umanitari si inseriscono allora in un quadro complessivo di ristrutturazione delle politiche migratorie e della concessione dell’asilo che punta a stabilire già in partenza chi può accedere al territorio europeo e chi no. Questa ristrutturazione è la risposta dell’Ue e dei singoli Stati europei all’estate dei migranti che ha portato da questo lato del Mediterraneo oltre un milione di uomini e donne che, per vie regolari o in nero, sono entrati nel mercato del lavoro europeo. Un mercato del lavoro a volte gratuito, altre sottopagato, comunque povero. Ed è una risposta concordata con gli Stati africani, ai quali si offrono fondi per una cooperazione che è sempre più sinonimo di “messa in sicurezza” dei confini e per finanziare progetti di sviluppo, il più delle volte attuati da imprese europee tramite la manodopera locale a basso costo a cui viene impedito di varcare quegli stessi confini. Più delle frontiere, è il mercato del lavoro europeo a esternalizzarsi. In questo mercato del lavoro non sono previsti corridoi umanitari, perché gli unici movimenti consentiti sono quelli che rispondono ai criteri del profitto e dello sfruttamento. Quegli stessi criteri che il movimento dei migranti sfida ogni giorno lottando contro la violenza, la schiavitù e quegli accordi tra paesi africani e paesi europei che vorrebbero cancellare la loro pretesa di libertà dichiarandola clandestina fin dall’origine. È una sfida che non può accontentarsi di corridoi umanitari e che va invece in direzione di un permesso di soggiorno europeo incondizionato.