C’è bisogno di una grande manifestazione di migranti, perché in Italia i e le migranti sono sotto attacco. Lo sono da tempo e per anni hanno lottato attraversando i confini, scioperando contro lo sfruttamento, resistendo al razzismo istituzionale. Oggi però questo attacco è diventato più intenso e mira a ridurre le donne e gli uomini migranti al silenzio. Dai rastrellamenti nelle città agli sgomberi delle occupazioni e delle piazze, dalle violenze a Ventimiglia agli accordi con la Libia per restringere il confine con il Mediterraneo, dalle misure del duo Orlando-Minniti per ostacolare le richieste d’asilo ai dinieghi a ciclo continuo sfornati dalle commissioni territoriali, dal lavoro gratuito all’apertura di nuovi centri di detenzione fino al tentativo di imporre un nuovo passo a un’infame politica delle espulsioni e delle deportazioni: l’obiettivo è quello di nascondere la presenza delle e dei migranti, governarla secondo le esigenze di un mercato del lavoro sempre più precario, per chiudere gli spazi di agibilità politica e protagonismo che essi hanno preteso, rivendicato e conquistato in questi anni. E non sono sotto attacco soli i rifugiati e i richiedenti asilo, ma anche coloro che sono in Italia da decenni. Questa condizione comune è dimostrata dalle secche parlamentari ed elettorali in cui è finita la legge sullo ius soli che, pur sottoposto alle condizioni della precarietà e povertà di reddito vigenti in Italia, comunque garantirebbe ad alcune centinaia di migliaia di figli e figlie di migranti un documento – la cittadinanza – per sfuggire al ricatto del permesso di soggiorno, a cui da una vita sono sottoposti i loro genitori. Con l’attacco ai migranti, anche la loro speranza di uno scampolo di diritti sembra ormai abbandonata alla deriva del razzismo democratico.
Oggi più che mai c’è bisogno di scendere in piazza con i migranti, per prendere parola contro uno stato di cose che vuole condannarli al ricatto, al silenzio, alla paura. Da molti punti di vista la manifestazione convocata per il prossimo 21 ottobre rischia invece di essere un’occasione persa. Come se gli ultimi vent’anni fossero passati invano, viene proposta una piattaforma che si rivolge chiaramente alla buona coscienza in pelle bianca. Di fronte all’evidente autonomia delle migrazioni, a un decennio di scioperi del lavoro migrante e di lotte potenti come quelle della logistica e nei campi, di fronte alla crisi della governance europea delle migrazioni viene riproposto il più classico schema antirazzista, ignorando il protagonismo che i e le migranti hanno messo in campo in questi anni. Di fronte a un razzismo che si è fatto sistema ed è diventato sempre più istituzionale, il massimo che si può fare è davvero invocare la retorica antirazzista in nome di una presunta società accogliente? Davvero basta ripetere che nessuna astratta persona è illegale? Davvero, dopo 15 anni di “legge” Bossi-Fini, è possibile sostenere che legalità significhi per i migranti emancipazione e libertà? Davvero l’evocazione di un’accoglienza diversa e “virtuosa” può scacciare la realtà dell’accoglienza istituzionale che nella forma delle regole di Dublino, della disciplina paternalistica dei centri di accoglienza, è il primo ostacolo alla libertà di movimento dei migranti? Davvero alla pretesa di libertà dei migranti si può rispondere con un’accoglienza degna, quando l’accoglienza è sempre più una parentesi tra l’arrivo in Italia e il diniego delle Commissioni? Di fronte alla realtà brutale dei campi di detenzione in Libia, dove le donne migranti vengono violentate quotidianamente da maschi che garantiscono l’inviolabilità del confine per conto del governo libico, dello Stato italiano e dell’Unione Europea, davvero il massimo che si può fare è chiedere il diritto di ispezione dei parlamentari europei, dimenticandosi persino di pretendere che quei campi vengano immediatamente chiusi?
Se si considerano i migranti un oggetto della benevolenza civica, non solo si perde un’occasione, ma si fanno dei passi indietro, fino a generare il legittimo sospetto che i migranti siano solo il pretesto per cementare altre alleanze. Niente di male nella solidarietà, ma essa è poca cosa quando il lavoro in pelle nera e senza documenti viene sfruttato proprio mentre viene accolto. La solidarietà che vuole “restituire valore e dignità al lavoro” dovrebbe riconoscere che il ricatto del lavoro gratuito a cui sono sottoposti i richiedenti asilo è la forma più feroce e attuale dello sfruttamento del lavoro migrante. La solidarietà dovrebbe dire che l’indisponibilità ai lavori socialmente utili non deve essere annotata dagli operatori per poi finire sui tavoli delle commissioni territoriali che decidono del destino dei nuovi migranti. La solidarietà non può ignorare che i centri di accoglienza stanno diventando mercati a cielo aperto, dove il lavoro viene smerciato in nero, specie quando mancano i permessi di soggiorno per via dei ritardi delle Questure, oppure è condannato all’informalità e alla precarietà anche quando è regolare. Non è un caso che i settori del lavoro più precarizzati, dal food delivery al montaggio palchi, passando per i lavori di raccolta nei campi, guardino ai centri di accoglienza come bacini di forza lavoro a basso costo e senza diritti.
Una grande manifestazione sarebbe un segnale importante per un’Europa che continua a riempire di confini la vita dei migranti, mentre i migranti continuano a muoversi, dimostrando che il governo europeo della mobilità è tanto fragile quanto brutale. Per sfidarlo bisogna allargarne le maglie, premere sui molteplici confini, interni ed esterni, su cui poggia e forzarli. Una grande manifestazione non può avere perciò come obiettivo solo il risveglio della coscienza civica, ma deve porsi risolutamente il problema di creare le condizioni perché si aprano nuovi spazi di agibilità politica per i e le migranti. Una grande manifestazione deve stabilire il terreno per una lotta comune, per rompere la condizione di isolamento e di divisione in cui Minniti e compagni vorrebbero relegare i migranti. Una lotta comune che deve avere come obiettivo un permesso di soggiorno europeo incondizionato, slegato dal lavoro e dal reddito, ma anche da padri, mariti e fratelli. Questa condizione minima di libertà e di movimento è la condizione di possibilità per rivendicare il diritto ad abitare e a un reddito e welfare europei.
Di fronte a tutto questo la solidarietà distratta convoca “le donne e gli uomini che guardano dalla parte giusta”, dimenticandosi persino di nominare i migranti. Noi, che riconosciamo la necessità di una grande manifestazione contro questo sistema istituzionale di accoglienza, contro il governo europeo delle migrazioni, contro lo sfruttamento e la repressione, stiamo dalla parte dei e delle migranti che rifiutano quotidianamente di essere oggetti da accogliere, accudire e integrare per essere meglio sfruttati. Questa è la parte giusta che vogliamo guardare, perché non ci piace specchiarci in noi stessi e nelle nostre virtù civiche. Noi stiamo dalla parte della libertà di chi sperimenta sulla propria pelle quanto “bianca” è la giustizia.