L’8 marzo saremo in piazza con NON UNA DI MENO. Donne e queer migranti e italiane, figlie di migranti con la cittadinanza in tasca e il razzismo che ci graffia la pelle, lavoratrici imbrigliate a un permesso di soggiorno che ci ricatta, studentesse obbligate a lavorare per pagarsi a caro prezzo l’assistenza sanitaria, precarie che vivono di salari intermittenti impoveriti dalla guerra, madri sole che si fanno in quattro per liberare il futuro dei propri figli e delle proprie figlie da razzismo, violenza e sfruttamento. Siamo diverse e non c’è un’identità che ci unisce. Ci unisce la lotta contro il patriarcato e il suo mondo.
L’8 marzo noi vogliamo dare voce femminista e migrante al rifiuto della guerra. Il mondo del patriarcato è quello in cui la violenza è l’arma che può sempre essere usata contro chi reclama la propria libertà. Guerra significa milioni di morti ucraini e russi, sterminio cieco a Gaza, stupri armati in Sudan e Congo, attacco al progetto femminista in Rojava, repressione di ogni forma di opposizione in Iran come in Israele. Guerra significa che siamo obbligate a lavorare di più dentro e fuori casa, in condizioni peggiori, con salari sempre più bassi e sempre più ricattabili dal razzismo istituzionale, mentre miliardi vengono investiti in armi ed eserciti. Disciplina, gerarchia, autoritarismo, onore ai soldati in armi, sfruttamento senza alternative sono le parole d’ordine del mondo in guerra e a quest’ordine noi vogliamo opporre la nostra pretesa di libertà.
L’8 marzo noi vogliamo dare un significato femminista e migrante alla parola PACE. La pace minacciata da Trump non garantisce che taceranno le armi, e intanto comanda alle donne di essere madri e mogli silenziose, cancella la libertà sessuale e le identità di chi non si adatta alla gerarchia dei sessi, deporta i migranti, afferma il diritto del più forte come principio. La sicurezza inseguita dall’Europa è quella che reclama più armi e più soldati, che distrugge il welfare e scarica sulle spalle e i salari delle donne i costi della riproduzione della vita, che respinge i migranti e le migranti ai confini mentre li sfrutta dentro gli Stati. È la pace in cui continua a consumarsi la violenza maschile contro le donne nelle case, nelle strade e sui posti di lavoro. A questa pace che si arma contro di noi, che arruola come soldati donne e persone LGBTQ+ negli eserciti e li disprezza come civili, vogliamo opporre quella resa possibile dalla nostra liberazione.
L’8 marzo noi vogliamo tenere aperta la possibilità di questa lotta che oggi è sotto attacco su tutti i fronti, eppure vive nelle battaglie quotidiane di ogni donna che si ribella a un marito violento, di ogni lavoratrice che sciopera per un salario migliore, di chi pratica la libertà sessuale e si oppone all’ordine patriarcale della famiglia reclamato a gran voce dalle destre, in Italia e in ogni angolo del mondo, di chi attraversa confini militarizzati sfidando la violenza razzista della polizia e dell’Europa. Noi saremo in piazza con le donne curde, siriane e iraniane che continuano a organizzarsi e a gridare ostinatamente Jin, Jiyan, Azadi!—Donna, vita, libertà, perché «la ribellione delle donne cambia il mondo». Saremo in piazza con le palestinesi che cercano di ricostruire la loro vita tra le macerie, dentro l’incubo di una tregua violenta e interrotta. Saremo in piazza schierate dalla parte di chi, in Palestina e in Israele, in Ucraina e in Russia, in Turchia e in Kurdistan rifiuta la violenza della guerra e rompe i fronti che la guerra impone. Saremo in piazza con le lavoratrici che scioperano e sfidano il ricatto del permesso di soggiorno e l’arroganza dei padroni. Saremo in piazza come lo saranno le argentine che affrontano a viso aperto un governo che ha cancellato la parola femminicidio dalla costituzione, ma non può cancellare la lotta di coloro che non vogliono più esserne vittime. Saremo in piazza perché, mai come ora, dobbiamo esserci e mostrare una forza collettiva e transnazionale.
VITA E LIBERTÀ DALLO SFRUTTAMENTO E DALLA VIOLENZA RAZZISTA E PATRIARCALE SONO LA POSTA IN GIOCO. LA RIBELLIONE FEMMINISTA E MIGRANTE È SEMPRE PIÙ URGENTE.