Lunedì la nave militare Libra è salpata per trasportare in Albania i primi 16 migranti destinati a essere prigionieri di una struttura in attesa del rimpatrio. I migranti sono stati selezionati a bordo della nave su cui sono stati salvati, gli uomini sono stati divisi da donne e bambini e sono stati individuati quelli provenienti da “paesi sicuri”, e quindi destinati a procedure accelerate. Dopo poche ore, questa prima selezione si è rivelata talmente arbitraria che quattro migranti (due minorenni bengalesi e due egiziani considerati vulnerabili) sono stati rimandati in Italia. Tutto è avvenuto lontano da occhi indiscreti, perché sulla nave militare che li ha trasportati in Albania non è stata ammesso nessuno che potesse documentare il processo. Fin da adesso ci possiamo aspettare che questo sia soltanto un assaggio di quello che sarà l’effettivo funzionamento dei centri in Albania, cioè una scatola nera di arbitrio della quale pagheranno i costi migliaia di migranti.
Quello con l’Albania è l’ennesimo accordo concluso dal governo italiano per esternalizzare i confini di un’Europa che sui migranti continua ad esercitare un comando violento, senza riuscire però a fermare il loro movimento alla ricerca di una vita migliore contro guerre, sfruttamento e oppressione. Basti pensare che, nelle stesse ore in cui 16 migranti venivano trasferiti tra i proclami trionfali del governo, a Lampedusa sono sbarcate più di mille donne e uomini migranti in barba alle leggi razziste degli Stati e i loro confini. L’accordo porta a compimento un piano di criminalizzazione che Meloni e i suoi sodali perseguono sistematicamente con vari mezzi, a partire dalla gestione razzista di richiedenti asilo e migranti che prefetture, questure e amministrazioni locali praticano quotidianamente per isolare donne e uomini migranti, lasciarli senza documenti, nell’impossibilità di lavorare o curarsi, per privarli anche della possibilità del ricongiungimento famigliare. È un progetto in piena continuità con il disegno legge sulla sicurezza passato alla Camera lo scorso mese e con la politica razzista del Ministero dell’Interno, che ha smantellato l’accoglienza, ha portato alle stelle la percentuale dei dinieghi dei permessi e ha gettato in strada i pochi migranti che ottengono la protezione internazionale nonostante le loro leggi. Ma il progetto di deportazione in Albania segna anche una “nuova frontiera”, di nome e di fatto, per l’attacco a uomini e donne migranti e al diritto d’asilo: spendendo centinaia di milioni di euro e stanziati altri 670 milioni per i prossimi cinque anni, il governo Meloni si mostra all’avanguardia nel feroce tentativo di tenere i migranti lontani dai confini europei e lontani da ogni sguardo indiscreto, in centri dove poter operare secondo procedure sommarie e accelerate, senza che ai migranti sia garantita alcuna assistenza legale, senza che abbiano alcuna possibilità di far valere diritti o di organizzarsi e lottare.
Di fatto la nave militare che deporta i migranti – la stessa che nel 2013 ha lasciato affogare decine di bambini siriani e che “accidentalmente” non è arrivata in tempo per evitare la più recente strage di Cutro – si candida ad essere l’immagine più emblematica del nuovo razzismo europeo in tempo di guerra. È la massima espressione di una violenza quotidiana sempre più grande che gli Stati dentro e fuori l’Unione europea esercitano su donne e uomini migranti. D’altronde l’accordo italo-albanese è stato eletto a “modello guida” dalla stessa Presidente Von Der Leyen, che può vantare un altro successo per la sua idea di Europa dopo il Patto sulla Migrazione e l’Asilo che, prima dell’estate, aveva assestato il colpo definitivo al diritto di asilo in Europa. Nelle stesse ore in cui esperti, organizzazioni e associazioni mettevano in fila una lista interminabile di norme, nazionali e internazionali, con le quali il piano italo-albanese di deportazione sarebbe incompatibile, la presidente della Commissione ha affermato candidamente che si tratta di una “sperimentazione” dal quale ricavare tante indicazioni pratiche. L’Albania sarà quindi un laboratorio per tutti i razzisti d’Europa. Non sappiamo quanti migranti finiranno effettivamente nei centri, quanti dovranno essere rispediti in Italia per la plateale arbitrarietà della misura. Quello che è certo è che l’asticella della violenza sui migranti è stata spostata ancora più in là, e i leader europei da questo ritengono di aver tanto da imparare.
Nel frattempo, il nuovo governo francese ha annunciato una legge sull’immigrazione che limiterà i ricongiungimenti famigliari, l’accesso al welfare dei migranti e allungherà i loro tempi di detenzione. Lo stesso esercizio dello ius soli per la cittadinanza potrebbe essere ridotto. Sul fronte orientale, il governo polacco ha annunciato l’intenzione di sospendere temporaneamente il diritto d’asilo, mentre, pochi giorni fa, le guardie di confine iraniane hanno respinto e ucciso 300 migranti afghani che tentavano di oltrepassare il confine. Donne e uomini migranti sono ovunque sotto attacco, mentre i governi europei continuano a stringere accordi con governi fuori dai confini europei per ostacolare e contenere le partenze dai loro paesi, come è successo e non smette di succedere in Tunisia, Libia e Turchia.
Ciò che unisce questi governi è la volontà di esercitare un comando autoritario sui migranti che non si esercita solo sui confini, ma attacca anche la possibilità di organizzarsi, di costruire processi di lotta contro il razzismo istituzionale in Italia, dentro e fuori l’Europa. Processi che, oggi più che mai, devono fare i conti con uno scenario di guerra che ha accelerato e intensificato politiche di governo della forza lavoro sempre più violente, non soltanto verso donne e uomini migranti. Perché in Albania vorrebbero deportare non sono solo richiedenti asilo che hanno scelto la libertà, ma la possibilità per tutte e tutti di dire di no a un presente di oppressione e sfruttamento che vogliono imporci come inevitabile.