La violenta normalità del razzismo. Intervista a M. del Centro Mattei

Sessanta migranti morti per ustioni, fame e sete su un gommone alla deriva in mare nonostante le richieste di aiuto. La rabbia di un richiedente asilo costretto nella gabbia del centro Mattei di Bologna fermata dalla scarica di un taser. Un migrante picchiato da due carabinieri alla fermata di un bus mentre andava al lavoro, perché non aveva in tasca il permesso di soggiorno, ma soltanto la ricevuta della richiesta di rinnovo. Un documento valido per legge, ma non per chi voleva portarlo a forza in Questura, negli stessi uffici responsabili dei mesi di ritardo nel rilascio e nel rinnovo dei permessi.

Sono soltanto alcuni esempi della normalità di morte, violenza e sfruttamento che donne e uomini migranti affrontano ogni giorno mentre attraversano il Mediterraneo per costruire una vita migliore, mentre vivono nell’accoglienza democratica dell’Emilia-Romagna, quando si muovono per le strade delle città per andare al lavoro e conquistare un salario che li liberi dalla miseria dell’accoglienza. La violenza che comporta ottenere o rinnovare un permesso di soggiorno è sempre presente, anche quando non diventa morte o ferite. Anche quando per il salario ti ritrovi a lavorare tramite agenzia, con contratti di un mese, con turni stabiliti arbitrariamente giorno per giorno, con un salario da fame e straordinari non pagati. Questa è la violenza dello sfruttamento che un richiedente asilo del Mattei denuncia in questa intervista.

Le lotte dell’Assemblea dei Migranti del Mattei hanno permesso ai migranti di avere un permesso provvisorio in attesa della risposta definitiva della commissione, un permesso con cui possono finalmente lavorare. Dentro la grande fabbrica dell’Interporto, però, a loro spetta il lavoro più duro, povero e insicuro. Rompere il silenzio sullo sfruttamento dei richiedenti asilo è parte della lotta che donne e uomini migranti conducono quotidianamente contro la violenza del permesso di soggiorno.

 

Dopo mesi trascorsi in balia dei ritardi razzisti di Prefettura e Questura nell’avvio delle procedure per la richiesta di protezione internazionale, contro cui l’Assemblea dei Migranti del Mattei ha fatto sentire più volte la propria voce, qual è la situazione attuale?

La maggior parte di noi sta aspettando la risposta della commissione territoriale. Molti di noi, soprattutto quelli che provengono da paesi che il governo italiano ritiene “sicuri”, sono destinati a ricevere un diniego e dovranno fare nuove, lunghe e costose trafile burocratiche per evitare di essere sbattuti per strada senza uno straccio di documento in tasca. Siamo stati mesi in attesa di un permesso di soggiorno provvisorio. Abbiamo alzato la voce e finalmente almeno quello lo abbiamo ottenuto. Ora siamo in attesa della decisione della commissione, ma almeno con il permesso provvisorio diversi di noi hanno cominciato a lavorare nei magazzini dell’Interporto.

 

Puoi raccontarci brevemente la tua esperienza all’Interporto?

Io ho trovato lavoro in un magazzino dell’Interporto all’inizio dell’anno, tramite un’agenzia di intermediazione. Vado al lavoro dal lunedì al sabato: ogni pomeriggio l’agenzia mi invia un messaggio su WhatsApp comunicandomi a che ora inizierà il mio turno quel giorno. A seconda del lavoro i turni possono durare dalle 4 alle 8 ore, e spesso, a fine turno, può capitare che il caporeparto ci chieda di trattenerci un po’ più a lungo. Lavoro con un contratto di un mese che mi è già stato rinnovato due volte, ma so che nel magazzino dove lavoro, quando l’azienda non può più rinnovare quel tipo di contratto e dovrebbe assumerti a tempo indeterminato, preferisce quasi sempre mandarti via. In questo senso, anche se le cose per noi vanno sicuramente meglio rispetto a quando gli unici soldi che avevamo in tasca erano quelli del misero pocket money che veniva distribuito con settimane di ritardo dalla cooperativa che gestisce il Mattei, il lavoro con questa agenzia non ci dà alcuna sicurezza. Diversi di noi, dopo aver lavorato in magazzino di notte, durante il giorno seguono dei corsi o svolgono dei tirocini per imparare mestieri diversi che sperano di poter fare quando perderanno il lavoro all’Interporto.

 

Quali sono i problemi di cui ti capita di discutere più spesso con i tuoi colleghi?

Un problema importante è quello degli autobus di linea da e per l’Interporto che non effettuano corse tra le 22 e le 5, costringendo molti di noi ad arrivare all’Interporto con grande anticipo rispetto all’inizio del turno o a rimanere lì per molte ore dopo aver finito di lavorare. So che il Coordinamento Migranti denuncia da anni questa situazione, e che in passato alcuni di noi sono stati investiti su quelle strade, buie e spesso con la nebbia, dato che non avevano altro modo per andare a lavorare che con il monopattino o la bicicletta. Non basta che il Comune abbia messo un autobus di giorno. Forse pensano che lavoriamo alla scrivania, ma noi facciamo i facchini e lavoriamo spesso di notte!

C’è poi la questione degli straordinari. Durante le giornate di formazione l’agenzia ci aveva spiegato che le ore di straordinario sarebbero state pagate di più, ma confrontandoci tra di noi ci siamo resi conto che nessuno di noi ha ancora mai visto quei soldi in busta paga. È una cosa contro cui bisognerebbe protestare, ma sappiamo che, nella situazione in cui ci troviamo, farlo significherebbe quasi certamente perdere il lavoro. Nel magazzino accanto a quello dove lavoro, per esempio, a un mio connazionale non è stato rinnovato il contratto dopo che aveva chiesto all’agenzia un piccolo aumento di stipendio.

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