Lo scorso sabato sera i migranti del Cpr di via di Corelli a Milano hanno protestato contro le condizioni invivibili del centro. Si sono sdraiati a lungo sotto la pioggia per denunciare di essere rinchiusi e bloccati per tempi sempre più lunghi in un centro sporco e sovraffollato, con cibo scarso, senza alcun accesso alle cure mediche, senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno, per il semplice motivo di non avere dei documenti in regola. Poche ore dopo l’inizio della protesta, chiamati dal personale del centro che era stato commissariato dalla procura per le “condizioni disumane” al suo interno, le forze dell’ordine sono entrate con la violenza nel centro, manganellando e picchiando i migranti e rompendo la gamba ad un ragazzo di 18 anni.
Siamo con i migranti che protestano dentro il Cpr di via Corelli: la loro lotta è la nostra. Come migranti sappiamo bene cosa significa lottare contro le condizioni dei tanti centri dove siamo costretti a vivere senza un lavoro, senza documenti oppure con il rischio costante di perderli. Anche quando non siamo reclusi nei CPR, sappiamo bene cosa vuol dire confrontarsi con le intimidazioni, la repressione, e la violenza di chi vorrebbe che i migranti stessero zitti e a testa bassa, accettando la povertà, la precarietà e le espulsioni.
Quella di Milano è l’ultima di una serie di proteste che hanno avuto luogo nel giro di pochi giorni. Dopo il suicidio di Ousmane Sylla, uno dei ragazzi rinchiusi nel CPR di Ponte Galeria a Roma, i migranti del centro hanno messo in piedi una rivolta repressa con l’uso di lacrimogeni. Qualche giorno prima nel CPR di Trapani circa 140 migranti che dormivano all’aperto per terra senza materassi avevano dato fuoco alla struttura. In queste proteste c’è tutto il nostro rifiuto di condizioni di vita che peggiorano di giorno in giorno a causa della guerra del governo italiano contro gli uomini e le donne migranti. C’è tutta la nostra rabbia contro un governo razzista che vuole aprire nuovi centri di detenzione, che ha allungato a 18 mesi il periodo di detenzione per chi di noi è senza documenti, che attua una politica di dinieghi in massa delle nostre richieste di asilo, che ha promesso di aprire nuovi centri dove deportare i migranti in Albania, lontano da occhi indiscreti e da qualsiasi controllo, che apre sempre nuovi CAS dove stipare i migranti che continuano ad arrivare. Dal canto loro le Prefetture e le Questure consegnano i documenti con mesi di ritardo, mentre arrivano in fretta soltanto dinieghi e fogli di via, senza neanche avere la certezza di poter fare ricorso davanti a un giudice. Gli effetti di tutto questo sulle nostre vite sono ormai inaccettabili. Per questo si fa ogni giorno più urgente organizzarsi per trasformare tutta la nostra rabbia in una lotta visibile e potente, che dia voce agli uomini e alle donne migranti che rifiutano di vivere in queste condizioni.