Nessuna è libera finché non lo siamo tutte

Da giorni le piazze gridano no alla violenza maschile sulle donne. Il nome di Giulia Cecchettin risuona ovunque perché è insopportabile che un’altra donna sia stata uccisa da un uomo che non poteva accettare la sua libertà. Nelle piazze c’è una forza che è tornata a essere collettiva e farsi sentire in massa. Ne abbiamo bisogno per trasformare radicalmente un presente fatto di violenza: guerra contro le donne, guerra contro i migranti, la violenza delle bombe, che annienta vite e oscura ogni orizzonte di trasformazione. Guerra e più guerra. Queste guerre diverse condividono la stessa logica di dominio, appropriazione, comando, oppressione, sfruttamento. Dobbiamo lottare contro l’inaccettabile normalità della violenza imposta dalla guerra. Che il 25 novembre il nostro rifiuto della violenza maschile sia l’innesco di un’opposizione femminista e migrante alla guerra!

ph. Stella Chirdo, Donne in corteo per la Palestina


Tante e tanti si ostinano a negarlo, ma c’è un legame tra la guerra in Ucraina e quella in Palestina. Per quante donne o queer possano arruolarsi negli eserciti nazionali la guerra è sempre un affare degli uomini, rende invisibile la violenza patriarcale e getta macerie sulle lotte quotidiane delle donne. Le palestinesi da decenni combattono contro il regime coloniale dello Stato di Israele che le ha esposte a una violenza quotidiana, ha degradato la loro vita e il loro lavoro, ha reso più difficile liberarsi dalla violenza maschile, dalla presa delle autorità patriarcali, familiari o comunitarie, religiose o laiche nel territorio palestinese. Dopo il 7 ottobre legare la lotta contro l’occupazione a quella contro il patriarcato sembra impossibile a causa della violenza genocida dello Stato di Israele e di quella indiscriminata di Hamas. L’ingiustizia non è cominciata il 7 ottobre: prima c’è una storia di occupazione, espropriazione, morte. Riconoscere questa storia non ci fa giustificare la violenza di Hamas. Sappiamo che la popolazione palestinese in questo momento deve sopravvivere alla violenza dello Stato di Israele, non a quella di Hamas, ma il progetto confessionale di Hamas, basato sulla subordinazione delle donne, va oltre i confini contesi della Palestina. In  Iran c’è chi ha sostituito lo slogan «donna, vita, libertà» sostituendolo con «donna, Gaza, libertà», per celebrare non la vita che lotta per essere libera, ma la morte di migliaia di donne palestinesi. Erdogan chiama i combattenti di Hamas «partigiani della libertà» mentre perseguita, incarcera e bombarda donne e uomini curdi per soffocare il loro progetto rivoluzionario.

L’opposizione alla guerra è femminista se vive nella lotta contro la violenza maschile. Come le donne iraniane e quelle curde crediamo che «nessuna è libera finché non lo siamo tutte». L’urlo «Palestina libera» deve essere parte di un orizzonte rivoluzionario transnazionale di liberazione dal patriarcato e dalla sua violenza, dai nazionalismi e dal razzismo, oltre ogni fronte etnico e religioso.
Non possiamo affidare il nostro no alla guerra ai governi che la stanno sostenendo. Non possiamo affidare ai governi la soluzione alla violenza maschile. La risposta di Meloni e della sua cricca all’assassinio di Giulia è inaccettabile: punizioni esemplari, violenza istituzionale, un uomo che odia le donne messo alla guida di un ridicolo progetto educativo. Intanto impoveriscono milioni di lavoratrici, vogliono mettere in galera le donne incinte per avere città sicure e approfittano della guerra per imporre lo sfruttamento, la povertà e il razzismo come regola.

Nell’opposizione alla guerra oggi c’è un rifiuto del razzismo che rompe i fronti e deve essere vivo nella nostra lotta contro la violenza maschile. La violenza maschile non è una contraddizione secondaria da risolvere dopo una vittoria di questo o quel fronte, che non sarà comunque la nostra vittoria. Lottiamo contro la guerra a partire dal rifiuto dei suoi effetti sulle nostre vite. In Israele ci sono donne e queer che disertano perché non credono che l’emancipazione coincida con il potere di opprimere, uccidere e sfruttare arruolandosi in un esercito oppressore. In tutto il mondo donne e uomini ebrei dicono «stop bombing Gaza!», al fianco di milioni di donne e uomini arabi, neri, latini che gridano «Palestina libera» anche per ribellarsi all’oppressione che vivono sulla loro pelle in altre parti del mondo. Rifiutare la guerra per rifiutare il razzismo mentre lottiamo contro la violenza maschile è il nostro difficile compito. Organizziamo la forza necessaria per farlo a partire dal 25 novembre. Riattiviamo la forza dello sciopero femminista. Per Giulia, per le altre, per noi, perché «nessuna è libera finché non lo siamo tutte».
Smash patriarchy, strike the war, stop bombing Gaza!

ph. Stella Chirdo, Ti rissi no!

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