di TRANSNATIONAL MIGRANTS COORDINATION
Nonostante la sbandierata collaborazione fra la presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen per fare accordi con la Tunisia e tenere i migranti lontani dall’Europa, gli uomini e le donne migranti continuano ostinatamente a sfidare il regime dei confini europeo e a infilarsi nelle sue maglie. Da giorni decine di barchini attraversano il Mediterraneo con un carico di speranze e voglia di migliorare le condizioni di vita di migliaia di uomini, donne, bambini. Le navi delle ONG, benché osteggiate dal governo italiano, non smettono di soccorrere imbarcazioni in difficoltà in arrivo da Sfax. La risposta europea a questo grande movimento è l’affollamento del centro di accoglienza di Lampedusa, dove, come gli stessi migranti hanno affermato, sono trattati da «animali», in spazi ricoperti di immondizia e privi di brandine dove poter dormire. Mentre il terremoto in Marocco e l’alluvione in Libia hanno causato migliaia di morti e reso ulteriormente precarie le vite di molti uomini e donne già allo stremo, Meloni e Von der Leyen si sono affrettate a raggiungere Lampedusa con l’obiettivo di discutere il rilascio dei fondi dell’UE destinati alla Tunisia. Lo scopo è quello di arruolare nuovi guardiani in Nord Africa, che possano svolgere il compito che il fidato Erdogan esercita poco più ad est. La convergenza tra Meloni e Von der Leyen dipende in parte dall’urgenza del momento e dalle reciproche convenienze in vista delle prossime elezioni europee. Ma essa mostra anche una più generale convergenza avvenuta in questi anni fra le destre e le politiche migratorie europee, all’ombra di continue ‘crisi’ quando si parla di migranti.
Sebbene l’idea di finanziare un paese autoritario in cui i migranti sono sistematicamente deportati nelle zone desertiche del Maghreb faccia storcere il naso ad alcune componenti della Commissione Europea, di fatto in Europa di accoglienza e ricollocamenti non parla più nessuno. La retorica dei muri, dei respingimenti, dei rimpatri, ma anche l’esplicito razzismo e l’invocazione di guerre di civiltà sono ormai l’unica moneta circolante. L’ascesa delle destre e la guerra in Ucraina hanno fatto tuttavia saltare l’ipocrisia che in questi anni ha guidato la discussione sulle migrazioni in Europa. Nonostante gli scontri a fine elettorale, infatti, in questi anni si è formato di un consenso di fatto che ha legittimato la militarizzazione delle frontiere e la velocizzazione della selezione dei richiedenti asilo nei pressi del confine, se non in acque internazionali o direttamente nei paesi di transito e origine. Se gli Stati europei litigano tra di loro, come vediamo nelle recenti tensioni tra Italia, Francia e Germania, è perché tutti concordano su questi principi che però, sfortunatamente per loro, non funzionano. Non funzionano perché i migranti non si fermano e perché i rimpatri – i numeri lo dimostrano bene – sono impossibili. Non può funzionare l’idea che centinaia di migliaia di migranti debbano acconsentire alle politiche di selezione della forza lavoro promosse da un consesso di Stati in conflitto tra di loro.
Il risultato è noto: migliaia di morti in mare, mentre la maggior parte di chi arriva in Italia come nel resto d’Europa – nonostante il piano di Meloni per moltiplicare il numero dei Centri Permanenti per il Rimpatrio – semplicemente resta a lungo “irregolare” e dunque impossibilitato ad accedere a un lavoro contrattualizzato, a sussidi, servizi, educazione. La “clandestinità” pubblicamente condannata è, in effetti, comoda se si considera la mancanza di manodopera in settori cruciali per l’economia europea, confermata dagli stessi decreti o leggi (come il decreto Cutro o la Loi Darmanin) che mentre prevedono limitazioni del diritto d’asilo o della protezione speciale, stabiliscono quote di migranti legittimati a entrare in Europa in funzione della domanda del mercato. Ma non si tratta solo di numeri. Il regime dei confini, la politica programmata delle morti in mare, gli ostacoli posti alle navi di salvataggio, le condizioni di vita nei centri di accoglienza, il mancato accesso a case, servizi e sanità, lo sfruttamento e il ricatto del permesso di soggiorno definiscono, complessivamente, le condizioni di vita degli uomini e delle donne migranti in Europa. Definendo le condizioni di milioni di lavoratori e lavoratrici in Europa, le condizioni imposte ai migranti contribuiscono a definire i rapporti di forza che riguardano l’insieme del mercato del lavoro e le condizioni della riproduzione di tutti. Per questo, la lotta per i documenti deve andare insieme alla lotta contro lo sfruttamento, la lotta contro le insostenibili condizioni di vita nei centri di accoglienza, deve considerare anche quella per la libertà di movimento e contro la violenza razzista. Il meeting del Transnational Social Strike che si terrà a Bologna fra il 27 e il 29 ottobre sarà l’occasione per discutere questi diversi aspetti. I movimenti quotidiani dei e delle migranti sono oggi componenti fondamentali di una lotta comune per rovesciare le condizioni di riproduzione delle nostre vite. Siete tutti invitati a partecipare!