Contare le donne ammazzate e stuprate è insopportabile. Khoudia Ndoye, Celine Frei Matzhol, Anna Scala, Rossella Nappini, Marisa Leo sono gli ultimi nomi di una serie troppo lunga. Uomini che uccidono e uomini, anche giovanissimi, che stuprano e se ne vantano. “Ti rissi no” è il grido con cui Non Una di Meno è scesa in piazza in Sicilia dopo la violenza di Palermo e dietro quel “no” c’è la lotta di ciascuna e di tutte. È il “no” di ogni singola donna che quotidianamente rifiuta di essere ridotta a oggetto da parte di un uomo che pretende di disporre di lei e del suo corpo, del suo lavoro, della sua vita a proprio piacimento. È il “no” che non è stato ascoltato dagli sbirri e dai tribunali, che fanno valere la giustizia patriarcale contando i secondi che scandiscono la violenza maschile e lasciando libero di fare chi l’ha già praticata. È un “no” che deve diventare forza collettiva.
La violenza maschile contro le donne esiste da sempre ed è una violenza che organizza l’intera società. Se è diventata un fatto pubblico e politico è perché le donne hanno lottato con tutte le loro forze affinché nessun uomo potesse ritenersi il loro padrone. Ciò che accade oggi è anche la reazione a questo rifiuto e ci dice che dobbiamo continuare a lottare contro la quotidiana pratica e legittimazione di questa violenza. Quella che viene chiamata “narrazione tossica” è la voce stessa del dominio maschile: dal senato alle pagine dei giornali, dal salotto televisivo del consorte di Giorgia Meloni alle piattaforme web sentiamo dire che le donne se la sono cercata: troppo ubriache, troppo disponibili, troppo poco attente. Oppure, da cattive ragazze diventano improvvisamente troppo fragili, vittime inermi che hanno bisogno di una maschia protezione per essere salvate. Mentre taglia i fondi ai centri antiviolenza femministi, il governo approva un decreto che continua la violenza maschile con altri mezzi: invece che registrare che da nord a sud, giovani o vecchi, con o senza soldi e documenti, sono sempre gli uomini che violentano e uccidono le donne, questo governo patriarcale guidato da una donna alza la voce e agita il pugno, aggrava le pene, rafforza l’autorità di quella stessa famiglia in cui la violenza maschile quotidianamente si consuma, e addita poveri e migranti come potenziali violentatori da controllare e punire, cancellando il fatto che, come altri prima di lui, l’ultimo assassino era un imprenditore con tanto di cittadinanza in tasca. L’occasione è perfetta per fare della presunta sicurezza delle donne la scusa per alimentare l’odio di classe e quello razzista. In questo modo che il governo contribuisce a soffocare gli innumerevoli “no” che le donne, lavoratrici, migranti dicono quotidianamente quando incontrano la violenza maschile nelle case, sui posti di lavoro, sui confini che cercano di respingerle, nei luoghi in cui si combatte la guerra, che produce stupri, morte e uno sfruttamento infinito. Lottare contro la violenza maschile significa anche lottare contro questa violenza istituzionale e sociale che precipita sul corpo di ogni donna molestata, violentata e uccisa.
Stasera saremo in piazza con Non Una di Meno a Bologna, e insieme alle donne che si mobiliteranno in decine di altre città, perché abbiamo bisogno di tutta la forza di una lotta collettiva. Affinché ogni singola donna che dice no sappia di non essere sola. Affinché il nostro no risuoni più forte della voce del dominio maschile, di qualunque maschio violento, di qualunque istituzione razzista e patriarcale, contro ogni confine.