Tra misure straordinarie e ordinario razzismo, la guerra di Giorgia e dei suoi ministri contro uomini e donne migranti si è fatta più violenta. Per gestire l’aumento degli arrivi che continua nonostante gli accordi con i paesi del Nord Africa, il governo ha dichiarato uno stato di emergenza di sei mesi, stanziando 5 milioni di euro che serviranno principalmente ad aprire nuovi centri per il rimpatrio. Il parlamento sta per approvare il decreto Cutro, che riporta praticamente in vigore le leggi Salvini. Inasprisce il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per colpire oltre alle ONG anche le reti familiari che sostengono il movimento dei e delle migranti. Prolunga la detenzione nei CPR nel tentativo propagandistico di realizzare rimpatri impossibili in mancanza di accordi con i paesi di provenienza. Soprattutto, la stretta sulla protezione speciale ricadrà tanto su chi arriva, quanto su chi è già qui. Non solo vengono circoscritte le ragioni per richiederla, ma chi ne è già in possesso potrà rinnovarla soltanto per sei mesi. A essere fortemente limitati sono in particolare i permessi per calamità o per cure mediche che non potranno neanche più essere convertiti in permessi per lavoro. Chi ha fatto richiesta di protezione speciale prima dell’entrata in vigore della legge potrà comunque attendere la decisione della commissione territoriale. Ma chi è già in possesso o entrerà in possesso della protezione, dopo l’eventuale rinnovo di sei mesi, non potrà far altro che presentare un contratto di lavoro per convertirla in permesso per lavoro altrimenti diventerà irregolare. Le norme che allungano fino a tre anni la durata dei permessi per lavoro con contratto a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare ribadiscono ancora una volta che lavoro e famiglia sono le uniche condizioni per rimanere, anche se il lavoro vuol dire soltanto sfruttamento e povertà, anche quando la famiglia è un luogo di violenza per le donne. La nuova legge limita inoltre il divieto di espulsione: essere in “gravi condizioni psicofisiche” o temere la “violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare” nel paese di origine non costituisce più ragione sufficiente per poter rimanere in questo paese. Le donne che fuggono dalla violenza patriarcale o le persone lgbtq perseguitate per le loro scelte potranno essere rimandate nei loro paesi d’origine. Infine, dopo aver commissariato l’accoglienza con il consenso delle regioni amministrate dalla destra, il governo esclude i richiedenti e le richiedenti asilo dal SAI, il sistema di accoglienza diffusa gestito dai Comuni: per limitare l’accoglienza a grandi centri dove i migranti vivono ammassati in condizioni pessime, è necessario produrre un’emergenza che non c’è.
C’è invece un piano preciso, che manda un messaggio chiaro: l’unico modo per entrare e rimanere in Italia è accettare di lavorare a qualsiasi condizione, soltanto dove serve e per il tempo che serve. Il ministro Piantedosi lo ha detto chiaramente: la protezione speciale va ristretta perché è «un espediente per entrare nel nostro paese». Con queste misure, insomma, il governa limita fortemente gli strumenti che i migranti e le migranti hanno usato per entrare in Italia e restare con permessi meno vincolati al lavoro. L’obiettivo è affermare un destino di sfruttamento comune per tutte e tutti i migranti. La limitazione dei permessi e l’attacco sistematico ai soccorsi in mare non lasciano alternativa tra il rischio di morire e vivere e lavorare in condizioni inaccettabili. Questa guerra contro i e le migranti condotta con la forza della legge riguarda tutte e tutti, migranti e non migranti. Le continue dichiarazioni razziste e sessiste del governo – come quelle di Lollobrigida sulla sostituzione etnica e quelle di Meloni che vuole assumere le donne italiane prima dei migranti –, l’abolizione del reddito di cittadinanza e gli sgravi fiscali per le famiglie numerose comunicano anche a chi ha la cittadinanza un messaggio molto chiaro: che deve accettare di lavorare alle stesse condizioni di chi ha un permesso di soggiorno, e che le donne non possono rifiutarsi di essere subordinate ai mariti, all’imperativo della maternità, ai padroni.
A questa guerra razzista è sempre più urgente opporsi. È urgente amplificare le lotte di donne e uomini migranti che in questi anni hanno continuato a combattere contro il razzismo istituzionale quotidianamente e spesso nel silenzio di associazioni, sindacati e partiti che non riescono ad andare oltre un occasionale antirazzismo e umanitarismo dopo ogni morte in mare. La manifestazione a Roma del 28 aprile è una possibilità per ribellarci all’alternativa tra morte in mare e sfruttamento, per rifiutare il destino di violenza e povertà. Noi saremo presenti, sapendo però che non basta un evento a invertire la direzione delle politiche del governo e che contro la guerra di Giorgia ai migranti abbiamo bisogno di organizzarci oltre l’emergenza di questa legge.