Le responsabilità politiche della catastrofe e la nostra rabbia. Mobilitazione in Turchia per l’8M

di G. – attivista femminista turca e parte dell’Assemblea Donne del Coordinamento Migranti di Bologna

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L’8 marzo ci porteremo dietro il nostro lutto, la nostra ribellione e la nostra rabbia e illumineremo la notte!

Un mese dopo una serie di terremoti devastanti che hanno colpito 11 città della Turchia, del Kurdistan e della Siria, causando decine di migliaia di vittime, le donne della Turchia e del Kurdistan sono pronte a esprimere la loro rabbia e la loro solidarietà nella manifestazione femminista dell’8 marzo. In una situazione di crisi, guerra e conflitto, le conseguenze politiche dei terremoti si sono abbattute soprattutto su donne, curdi, migranti e bambini. Le istituzioni con le loro dichiarazioni pubbliche sulla gravità di questa catastrofe naturale stanno cercando di scrollarsi di dosso le proprie responsabilità, definendola ripetutamente “la catastrofe del secolo”. La realtà è ben diversa: il governo capitalista, patriarcale e razzista della Turchia ha lasciato morire le persone sotto le macerie, facendo di una catastrofe naturale un massacro politico. Questo evento drammatico ha mostrato ancora una volta la crisi economica dello Stato, con aiuti materiali ed economici che non sono riusciti a raggiungere i terremotati. Questo evento ha mostrato anche la corruzione delle istituzioni pubbliche, i condoni urbanistici che non hanno rispettato le norme antisismiche, la mancanza di rifugi, i deficit di sicurezza, i problemi amministrativi e organizzativi. Tuttavia, l’incapacità dello Stato turco di gestire il disastro e di organizzare la logistica di supporto va oltre la corruzione politica e può essere spiegata con una volontà politica ben ponderata, cioè quella di non voler essere presente nell’area a causa della sua composizione demografica e dell’orientamento politico in vista delle prossime elezioni del 14 maggio. L’area, parte del Kurdistan, è storicamente abitata da curdi, aleviti, armeni, assiri che sono stati perseguitati ed emarginati dallo Stato turco con le sue politiche razziste e di guerra, e dai migranti che sono considerati solo un problema e usati come merce di scambio politico. L’assenza dello Stato nella regione, la cui presenza è visibile solo attraverso le politiche di guerra e i bombardamenti contro i curdi, è stata colmata da molti collettivi di donne, ONG, partiti di opposizione che hanno lanciato campagne di mobilitazione creando reti di solidarietà per i bambini, le donne e i migranti per fornire loro rifugi, prodotti per l’igiene, cibo, acqua e sostegno psicologico.

Il responsabile di questo massacro è Erdogan che governa lo Stato, affiancato dai suoi alleati politici ed economici (inter)nazionali, come un’impresa basata su politiche neoliberiste rafforzate da misure razziste e patriarcali. Questo caos è il risultato evidente del governo di Erdogan che ha ignorato la vita delle persone in nome del profitto, non ispezionando gli appaltatori e le amministrazioni, non prendendo le giuste precauzioni, rubando miliardi di euro di tasse raccolte regolarmente ed esclusivamente per il terremoto dal 1999, favorendo i propri interessi economici, piazzando i suoi alleati incompetenti e i suoi familiari in posizioni importanti di organizzazioni cruciali come la Squadra nazionale di ricerca e soccorso (AFAD), la Mezzaluna Rossa turca (KIZILAY). Il risultato è la morte di oltre 55.000 persone – il numero reale si pensa sia nascosto all’opinione pubblica – a causa della mancanza di organizzazione, attrezzature e formazione. Il governo di Erdogan non solo ha fallito nella gestione della crisi, ma ha cercato di monopolizzare gli aiuti per impedire che questi raggiungessero l’area; le squadre di ricerca e soccorso provenienti da diversi Paesi sono state bloccate per il divieto dell’AFAD di recarsi nelle zone disastrate, abbandonando la popolazione alla ricerca dei propri cari sotto le rovine; i camion degli aiuti dei comuni dell’opposizione e delle ONG indipendenti, così come i macchinari da costruzione necessari per spostare i relitti, sono stati bloccati e tenuti in attesa di essere ispezionati dall’AFAD. In ogni comunicato stampa Erdogan ha impaurito, minacciato, insultato le vittime e citato in giudizio chi ha criticato lui e il suo governo. Mentre i social media sono stati il principale strumento di comunicazione nelle prime settimane, il governo ha bloccato Twitter limitandone l’accesso in tutta la Turchia e perdipiù molte persone sono state arrestate immediatamente per i loro tweet critici.

L’assenza di istituzioni pubbliche nell’area rende le donne, i migranti e i poveri sempre più vulnerabili. Chi decide di andarsene o chi non può lasciare la propria città si trova ad affrontare un rischio crescente di violenza. Alcune delle donne che si rivolgono alle case dei loro ex mariti hanno subito aggressioni e gli ordini di allontanamento legale non sono più applicabili. Non c’è modo di garantire la sicurezza delle strade per soddisfare il bisogno di servizi igienici durante la notte. Non c’è un’istituzione statale dove le donne possano denunciare casi di aggressioni e molestie sessuali. I poveri e i migranti che non hanno risorse economiche o familiari in altre città della Turchia sono costretti a rimanere nelle aree distrutte, cercando di soddisfare i bisogni primari. All’indomani del terremoto, il governo turco ha abolito le restrizioni alla circolazione dei rifugiati all’interno della Turchia, presumibilmente per facilitare il loro trasferimento, ma in realtà per inviare il messaggio subliminale che i migranti dovrebbero lasciare la Turchia se ne hanno l’opportunità. Ma questo è l’ennesimo segno dell’ipocrisia delle politiche migratorie di Erdogan sostenute dall’UE, che hanno causato altre vittime nel Mar Mediterraneo. Infatti, prevedendo un aumento del numero di persone che tentano di entrare in Europa dalla Turchia, l’UE ha concordato misure più severe per ridurre il numero di migranti irregolari. La recente strage nel Mediterraneo non è una coincidenza, dato che l’imbarcazione affondata nel sud Italia era partita dalla Turchia.

Un altro intervento immediato dello Stato è stato quello di svuotare i dormitori statali degli studenti nelle principali città e di passare alle lezioni online in tutte le università. Migliaia di studenti sono stati cacciati dai loro dormitori e rimandati a casa in un solo giorno. Questi dormitori dovrebbero accogliere le vittime del terremoto, anche se sono state scartate altre soluzioni abitative, come alberghi, appartamenti e complessi residenziali vuoti, tra cui la residenza di Erdogan con 1150 stanze. Mentre la maggior parte dei dormitori è ancora vuota, la ragione principale di questa implosiva manovra di istruzione online è chiara: hanno paura della mobilitazione studentesca, delle proteste e dell’organizzazione. Infatti, molti studenti che hanno protestato contro questa decisione davanti al rettorato delle loro università sono stati arrestati. Le proteste che chiedono le dimissioni del governo si stanno espandendo dai dormitori alle strade e agli stadi.

In una regione dove il regime della violenza ha distrutto vite, case, spazi, le donne si stanno salvando a vicenda attivando solidarietà femministe. A lungo termine, demoliranno questo sistema che ha tolto molte vite, per non tornare mai più indietro. Ora più che mai dobbiamo scioperare, protestare per i nostri diritti, i nostri spazi, le nostre vite. È il momento di scioperare contro un governo che sta costruendo la sua campagna politica sulla legittimazione dell’odio e della violenza contro i curdi accusati di essere “terroristi” e contro le donne e le persone LGBTQI, al fine di proteggere i sacri valori della cosiddetta “famiglia tradizionale”, il principale fornitore di lavoro riproduttivo non retribuito.  È il momento perfetto per intraprendere lotte locali e rispondere al sistema capitalista che cerca di metterci a tacere con il suo girone infernale di violenza patriarcale e razzista. Ancora una volta, le donne della Turchia e del Kurdistan sono pronte per il “Grande raduno del 5 marzo” a Kadıköy e per la tradizionale protesta notturna dell’8 marzo a Taksim; portando il loro lutto, la loro rabbia e la loro ribellione per conquistare l’oscurità!

“Se una di noi ha paura dell’oscurità della notte, daremo fuoco alla città!”

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