I migranti del Mattei scesi in piazza nelle scorse settimane a Bologna avevano chiesto tempo. Tempo per trovare una sistemazione dopo i provvedimenti di espulsione dal CAS, che prevedevano appena cinque giorni per lasciare il centro. Tempo che la Prefettura non aveva voluto dare, ma che i migranti si sono presi lo stesso scendendo in piazza e denunciando le terribili condizioni di vita dentro al centro.
La gran parte di loro nei giorni scorsi ha trovato un posto dove andare a vivere. Il tempo però non è stato sufficiente per tutti. Alla fine della scorsa settimana due migranti si sono trovati le loro valigie alla porta, mentre nel frattempo al Mattei è stato attivato un servizio di identificazione per evitare ‘ospiti abusivi’, come li chiama la Prefettura. Il tempo è scaduto, evidentemente, ed è scaduto anche perché il Comune di soluzioni non ne ha trovate. Il tempo conquistato dai migranti non è bastato al Comune per trovare pochi posti letto. Quando cinque dei migranti espulsi si sono recati al Servizio Protezioni Internazionali dell’ASP, in colloqui individuali si sono sentiti dire che non c’era alcuna sistemazione disponibile, che avrebbero dovuto rivolgersi a dormitori o strutture assistenziali per la notte – una presa in giro per chi normalmente di notte lavora all’Interporto – oppure a un ostello a 50 euro a notte. D’accordo con la Prefettura, avevano soltanto l’indicazione di “concedere” il domicilio negli stessi uffici comunali. Questa è la risposta della città più progressista!
Il risultato è stato che la gran parte dei migranti ha dovuto affrontare il muro del razzismo dei proprietari di casa e del costo degli affitti trovando in autonomia un posto per dormire. Uno di loro dorme però all’aperto, mentre l’help center del Comune non ha altro da offrirgli se non un laconico “non abbiamo posti”. Di fronte al razzismo sfacciato della Prefettura, il Comune non ha proposto alcuna alternativa. Nulla di sorprendente, se consideriamo che i patti sulla sicurezza firmati con il ministro Piantedosi meritano il plauso pubblico del Sindaco che però non ha nulla da dire pubblicamente o da fare amministrativamente contro regole razziste che sbattono i migranti fuori dall’accoglienza se il loro salario supera le 5 mila euro l’anno. Evidentemente l’antirazzismo del Comune è quello delle simboliche cittadinanze alle seconde generazioni e delle reali espulsioni dall’accoglienza, delle promesse ancora non mantenute dei bus per i migranti che rischiano la vita andando ogni notte a lavorare all’interporto in bici o in manopattino.
Rimane però la lotta ostinata dei migranti, che hanno strappato alla macchina del razzismo istituzionale non solo il tempo, ma anche la possibilità di avere la residenza, nonostante il Comune abbia da tempo smesso di dare la residenza fittizia ai migranti che giungono a Bologna e si trovano senza una casa. Senza questa conquista il rinnovo del permesso del soggiorno sarebbe diventato un ostacolo insormontabile. Documenti precari, accoglienza e case che mancano, mentre di sfruttamento ce n’è a non finire: a Bologna come altrove, è sempre la stessa la storia delle donne e degli uomini migranti. Di fronte a queste istituzioni e contro le loro politiche, i migranti continuano a lottare con le loro forze e mostrano anche che qualcosa si può ottenere. Qualcosa però non basta. Serve qualcosa di più. Serve che le lotte delle e dei migranti non restino da sole.