È nell’ordine naturale del patriarcato razzista credere di poter usare le donne a proprio piacimento. È quello che è successo negli ultimi anni alla Questura di Torino, dove un gruppo di poliziotti, difensori della legge (patriarcale), chiedeva prestazioni sessuali e denaro in cambio di un’accelerazione nelle pratiche del permesso di soggiorno. È la normalità del ricatto razzista e della violenza maschile che subiamo come donne migranti. Sapendo che la nostra vita dipende da un pezzo di carta, gli agenti della Questura ne hanno approfittato per ristabilire un ordine in cui le donne sarebbero oggetti da sfruttare. Questi uomini hanno agito servendosi della legge: è grazie al razzismo istituzionale che hanno potuto soddisfare fantasie di potere e di subordinazione delle donne, in un mondo in cui le donne, migranti e non, quel potere lo combattono e quella subordinazione la rifiutano ogni giorno.
Sono fantasie comuni anche alla classe padronale che sa che siamo costrette ad accettare condizioni di lavoro insostenibili, molestie e violenze sessuali per ottenere il permesso di soggiorno e la libertà di vivere dove vogliamo. È comune a quei mariti che non sopportano la nostra lotta per l’indipendenza e usano la violenza per riaffermare un potere che vedono sfuggirgli dalle mani. Eppure, il razzismo istituzionale quel potere glielo riconsegna perché senza un permesso di soggiorno dipendiamo dai loro documenti. Oggi più che mai, con la guerra in corso e due anni di pandemia alle spalle che pesano sui nostri magri salari e che hanno lasciato molte di noi senza lavoro, con quel poco nero che troviamo, il ricongiungimento familiare è uno strumento patriarcale che non lascia alle donne la libertà di decidere e organizzare la propria vita senza il consenso del marito.
Oggi più di sempre il permesso di soggiorno per le donne è vitale, perché senza quel pezzo di carta ci è più difficile lottare, difenderci dalla violenza maschile, rifiutare i ricatti al lavoro.
Sotto la sbandierata “accoglienza” ci sono le nostre vite, ricattate da una democrazia europea che parla di uguaglianza ma non fa che riprodurre gerarchie tra migranti regolari e non, tra profughe vere e profughe false, tra donne bianche e donne nere, tra chi – fuggendo dalla stessa guerra – ha la cittadinanza ucraina e chi no. Di fronte alla guerra l’UE e i suoi Stati mostrano la loro faccia razzista, accordando documenti ad alcune e non ad altre, fingendo che non sia il colore della pelle a fare la differenza.
La vicenda della Questura di Torino è solo una di quelle correnti che agitano il mare in cui combattiamo ogni giorno e mostra l’ordinario razzismo e sessismo che sta dietro le istituzioni. Questa violenza non ci riguarda solo come migranti, ma anche come donne che in queste settimane hanno assistito a un corteo di femminicidi, e alla storica sentenza che abolisce il diritto di aborto a livello federale negli USA, contro i quali non possiamo stare in silenzio. Non accettiamo che tutto questo diventi la normale cronaca della vita delle donne.
Contro questo sistema razzista e sessista, contro un’accoglienza che ci mette in pericolo, contro il ricatto dei documenti, e lo sfruttamento che la guerra sta rendendo sempre più forte e crudele, contro le politiche europee che producono divisione tra le migranti e ci espongono alla violenza maschile, il 2 luglio saremo in piazza Nettuno per una giornata di lotta in cui saremo protagoniste, per riprenderci un centro città che troppo spesso frequentiamo solo per fare le file negli uffici che decidono del nostro futuro. Il nostro rifiuto della violenza patriarcale e razzista risuonerà in piazza nelle nostre parole, a ritmo di musica, per mostrare che la nostra lotta non è finita e che contro la guerra e la violenza maschile e razzista noi scegliamo di non stare zitte.