L’accoglienza solidale promessa all’inizio della guerra in Ucraina si sta scontrando con i limiti dell’accoglienza e con il razzismo istituzionale della Questura. I migranti e le migranti denunciano da anni questa situazione, dimostrando come quei limiti vadano combattuti al di fuori di ogni retorica umanitaria. A Bologna anche per le profughe ucraine tutto procede secondo un copione che i e le migranti e richiedenti asilo che sono in questa città conoscono bene.
Abbiamo ricevuto decine di segnalazioni di donne scappate dall’Ucraina che ormai aspettano da più di due mesi il permesso di soggiorno e il codice fiscale, tanto che alcune hanno addirittura scelto di lasciare l’Italia pur di non rimanere bloccate in un limbo burocratico. I cedolini che la questura rilascia in attesa del permesso di soggiorno spesso non riportano le informazioni necessarie per il riconoscimento della protezione temporanea che serve per accedere a servizi e contributi. Mentre sono in attesa del loro codice fiscale che dovrebbe essere riportato sul permesso di soggiorno, le profughe non possono avere un medico di base, per cui molte donne con bambini a carico sono costrette a spendere cifre folli per accedere alle cure mediche per sé o per i propri figli. Senza il permesso di soggiorno non possono nemmeno lavorare, e dai documenti bloccati negli uffici della questura dipendono anche i 300 euro che possono essere chiesti per tre mensilità da chi non è nei progetti di accoglienza.
Per chi è nell’accoglienza si aggiungono controlli arbitrari e discriminazioni. I profughi e le profughe che hanno la pelle nera, anche se sono scappati dalle stesse bombe, non hanno diritto alla protezione temporanea e questa accogliente città li ha spediti dritti in strutture sovraffollate e non negli appartamenti. Molti di loro dopo due mesi non sanno ancora quale sarà il loro futuro, con il rischio di essere rimpatriati da un momento all’altro in paesi dai quali erano scappati per sfuggire a guerre, povertà e violenza. Ma anche i profughi ucraini titolari di protezione temporanea si ritrovano in progetti SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) o CAS (Centri di accoglienza straordinaria) dove sono in vigore gli stessi protocolli che rendono la vita dei migranti un inferno. Tutte le assenze vanno giustificate, e quelle “non giustificate” fanno perdere il diritto all’accoglienza. Un pocket money di 7 euro – quando viene erogato – è decisamente misero per vivere in questa città, anche se ai bambini viene garantito l’accesso alle scuole e rimborsate le spese scolastiche. Come è accaduto per i richiedenti asilo cacciati dall’accoglienza con multe assurde, anche le profughe e i profughi ucraini che sono nei progetti SAI o CAS non potranno guadagnare più di 5.900 euro all’anno se non vogliono essere sbattuti fuori e ricevere richieste di rimborso. L’azienda pubblica di servizi alla persona (ASP Bologna) dovrebbe assegnare un esperto legale, un assistente sociale, un interprete, uno psicologo o psichiatra, ma sappiamo che in alcune strutture queste garanzie tardano ad arrivare.
Le donne e gli uomini migranti conoscono bene questa realtà, contro cui lottano da anni. Qualche giorno fa in Consiglio comunale se ne è ricordato anche il consigliere Detjon Begaj che ha denunciato questa situazione, di cui è responsabile la Questura di Bologna. Il consigliere di Coalizione Civica ha riconosciuto che è la stessa situazione che vivono da anni i richiedenti asilo. Tuttavia, sembra che in Consiglio comunale nessuno si domandi perché alcune profughe e profughi possono accedere alle case e altri – spesso con la pelle nera – finiscono in strutture strapiene dove l’emergenza è la normalità come il Mattei. Anche se la chiusura del centro è nel programma di mandato, infatti, non ne parla più nessuno. La guerra in Ucraina ha messo in secondo piano la vita di centinaia di richiedenti costretti a viverci. Questi migranti hanno nuovamente protestato lo scorso 7 maggio, ma è loro stato impedito di raggiungere Piazza Maggiore per richiamare le responsabilità del Comune e della sua politica dell’accoglienza. Questa gerarchia delle emergenze e dell’accoglienza a seconda del colore della pelle o del paese di provenienza non è in alcun modo accettabile, soprattutto quando si tratta di questioni note e denunciate da anni. Come non è accettabile che ancora dopo mesi dall’elezione di questa maggioranza e di questa giunta che promettevano discontinuità, migranti e richiedenti asilo non abbiano ricevuto risposte sui problemi relativi all’anagrafe, alla residenza e alla tessera sanitaria e nemmeno su questioni che riguardano la sicurezza come i trasporti verso l’Interporto. Forse il consigliere di Coalizione civica, oltre a denunciare giustamente la Questura e i suoi ritardi, dovrebbe interrogare anche la giunta di cui è parte e che sostiene.