Pubblichiamo quest’intervista a Maria, lavoratrice ucraina arrivata a Bologna nel 2006.
Maria è lontana dalle bombe, ma anche la sua vita è stata stravolta dalla guerra. Dopo aver lavorato anni per offrire alle sue figlie la possibilità di studiare e costruirsi un futuro, con il suo salario oggi mantiene tutta la sua famiglia rimasta in Ucraina e cerca di dare supporto a chi vuole fuggire. Anche questo è un modo per sfuggire al senso di impotenza che la guerra impone. Maria vede chiaramente le divisioni che la guerra crea con la violenza delle armi, degli stupri e della propaganda. Dobbiamo riconosce le condizioni di vita miserabili che spingono uomini e donne in Russia e in Ucraina a migrare. Di fronte alla povertà e alla repressione, l’Europa offre una possibilità di libertà, nonostante le condizioni di sfruttamento che la stessa Europa impone con il suo razzismo istituzionale. Sappiamo che l’Europa accogliente di oggi è la stessa che fino a pochi mesi fa lasciava morire uomini e donne migranti al confine con la Bielorussia o nel Mediterraneo, e che oggi continua a respingere i migranti e rifugiati senza cittadinanza Ucraina e con la pelle nera. Sappiamo anche che nel cuore dell’Europa la Polonia continua a proibire l’aborto a tutte le donne, incluse le profughe ucraine che hanno subito uno stupro di guerra. Sappiamo che anche prima della guerra le donne non hanno mai vissuto la pace. Bisogna riconoscere che la guerra continuerà anche quando sarà sancita la fine dei combattimenti e sarà combattuta sulla pelle delle donne che dovranno continuare a lottare contro la violenza maschile, e su quella delle migranti vecchie e nuove, entrambe convinte di tornare indietro presto e messe ogni volta di fronte alla stabile precarietà della loro permanenza. Dobbiamo sfidare il senso di inutilità con cui la guerra ricopre le nostre lotte stando dalla parte di chi in tutti i modi lotta contro le sue conseguenze patriarcali e razziste e contro lo sfruttamento che rende più intenso. Dobbiamo costruire un discorso sulla libertà e sulla pace che ci permetta di lottare per una libertà che non ammetta la morte e la violenza patriarcali.
Maria è arrivata a Bologna da Leopoli nel 2006. In Ucraina faceva la OSS in ospedale, ma da quando è arrivata a Bologna ha sempre fatto la badante alternando fin da subito il lavoro alle lezioni di lingua. Dopo tre mesi sapeva già parlare italiano abbastanza bene. “Il primo periodo è stato molto difficile. Lavoravo 24 ore su 24, facevo fatica a seguire le lezioni, ma imparare l’italiano era fondamentale perché faceva una gran differenza anche in termini di opportunità lavorative. Non è stato facile, ho dovuto lasciare le mie figlie, mio marito e la mia famiglia. Non credevo che sarei rimasta così a lungo, all’inizio pensavo di fermarmi solo qualche mese o al massimo un anno”. Quando le sue due figlie hanno iniziato a crescere, i soldi non bastavano più. Maria voleva assicurare loro la possibilità di studiare e di fare l’università così è venuta in Italia aiutata dalla sorella che viveva già a Bologna. Le sue figlie, nel frattempo, sono riuscite ad andare all’università: una ha studiato lingue, l’altra sta ancora studiando e ha vinto una borsa di studio. “La guerra ha cambiato tutto, ha cambiato i nostri desideri e le nostre prospettive. Le mie figlie non vogliono scappare. Ho cercato di convincerle in tutti i modi e ho anche pensato di andare io stessa a prenderle per portarle in Italia, ma non posso permettermelo, adesso sono l’unica della famiglia ad avere un’entrata fissa, e al momento sto mantenendo sette persone: le mie figlie, i miei due nipoti, mio cognato, mia mamma e mio marito che sono tutti ancora in Ucraina. Prima mio genero lavorava molto anche all’estero e guadagnava bene, ma adesso non può più farlo ovviamente”.
Maria mi fa vedere i messaggi di un gruppo Telegram a cui è iscritta – UcraineNow – in cui compaiono aggiornamenti costanti dei bombardamenti e degli attacchi da parte dei russi. “Quando suona l’allarme antibomba la gente scappa nei rifugi e io mi metto a pregare. Tutte noi lo facciamo. Preghiamo affinché le bombe russe non colpiscano le nostre case. Quando è iniziata la guerra non pensavamo che fosse così grave, che sarebbe durata così a lungo. Poi abbiamo visto le atrocità commesse dai soldati russi e la distruzione dei bombardamenti. Molte delle armi che usano non sono neppure autorizzate dal diritto internazionale. Abbiamo visto cosa è successo a Bucha, a Kharkiv e a Mariupol. I soldati russi mettono addirittura le mine sotto ai cadaveri, così quando qualcuno prova a spostarli salta in aria”.
Maria è nata e cresciuta vicino a Leopoli, ma le figlie hanno studiato vicino a Kharkiv e poi hanno deciso di rimanere lì. Quando hanno visto che la situazione a Kharkiv stava diventando pericolosa, insieme alle loro famiglie sono scappate per tornare nel paese d’origine dove la situazione è più sicura. “Ci hanno messo una settimana per fare 500km. Non potevano prendere le strade più veloci perché erano troppo pericolose e rischiavano di incontrare i russi o di essere bombardati. I miei nipoti sono sconvolti e non riescono a dormire”. Il cognato una volta raggiunta la destinazione è però dovuto ritornare subito a Kharkiv perché gli uomini non possono allontanarsi dai luoghi di residenza e devono essere pronti a prestare servizio militare o assistenza ai soldati. “Quando è tornato a Kharkiv casa loro era distrutta e anche il loro negozio di alimentari era stato bombardato e saccheggiato dai russi. Per il momento si è sistemato a casa dei suoi genitori. Non possiamo stare tranquilli, per adesso le mie figlie si sentono al sicuro, ma le strategie di Putin cambiano in continuazione e non si può prevedere quali saranno i prossimi punti in cui concentrerà i bombardamenti”. Dall’inizio della guerra moltissimi ucraini si sono spostati verso la zona di Leopoli che essendo più vicina al confine polacco è più sicura, o quanto meno più vicina alla via di fuga. “Nel mio paese d’origine, ogni scuola è diventata un rifugio per ospitare famiglie, anziani, donne e bambini. Ogni giorno dal 24 febbraio arrivano tra le 1500 e le 3000 persone, alcune si fermano lì sperando di poter tornare a casa presto, altre proseguono verso la Polonia. Mio cugino vive in Polonia al confine con l’Ucraina e dice che stanno arrivando migliaia di profughi che vengono spesso ospitati direttamente dalle famiglie polacche che in alcuni casi offrono alle donne la possibilità di lavorare facendo le pulizie nelle case o negli uffici”. Maria racconta di essere molto contenta della generosità dei paesi europei che stanno accogliendo tutte le profughe in fuga dalla guerra. In realtà l’Unione Europea è molto lontana dall’immaginario della regione pronta ad accogliere chiunque a braccia aperte e non ha mai esitato a farsi fortezza chiudendo i propri confini ai migranti in arrivo dalla rotta balcanica o dal Mediterraneo.
Maria parla di Putin come di un pazzo megalomane che si è messo in testa che attaccare l’Ucraina significa difendere il popolo russo. “Sono moltissimi i russi che da anni vivono in Ucraina. Molti di loro contestano Putin e condannano i suoi attacchi e le atrocità commesse dai suoi uomini ma c’è anche chi, pur avendo vissuto e lavorato per anni in Ucraina, lo difende. Anni fa, quando sono arrivata in Italia ho conosciuto una signora ucraina della regione del Donetsk, all’inizio eravamo amiche ma quando sono scoppiati i conflitti in Donbass nel 2014 non ci capivamo più. Secondo lei Putin stava agendo legittimamente per riportare l’ordine nel territorio. Anche di fronte ai bombardamenti di questi mesi che le hanno distrutto casa, continua a pensare che Putin sta solo cercando di sistemare le cose. Ma come fai a dire una cosa del genere? Putin le ha distrutto la casa e, nonostante ciò, lo difende. In realtà c’è una spiegazione – dice Maria – tutte le notizie a cui lei aveva accesso quando abitava ancora a Donetsk erano quelle della propaganda russa che elogiavano il governo di Putin diffondendo notizie false sul governo ucraino. Io penso che lei non sappia davvero cosa sta succedendo in Ucraina. Dicono che noi siamo nazionalisti, ma non sanno neppure cosa vuol dire. I russi oggi stanno distruggendo il nostro popolo con stupri, saccheggi e bombe. Non vogliono farci vivere in un paese libero, ci vogliono come il popolo russo, sottomesso a Putin e ai suoi oligarchi. In Russia si vive bene solo a Mosca, ma in moltissime parti del paese non hanno neppure l’acqua corrente in casa. Eppure, molti di quelli che la pensano così, che siano ucraini o russi, poi vengono a lavorare in Italia o si trasferiscono in altri paesi europei, non vanno in Russia quando si tratta di trovare un lavoro o delle condizioni di vita migliori. Ucraini e russi sono completamente mescolati in Ucraina, viviamo insieme, ma in queste settimane abbiamo visto cosa vuol dire vivere sotto la tirannia di Putin. Ho visto dei video di donne che in Russia scendevano in piazza con dei cartelli per protestare contro la guerra e venivano trascinate via dai soldati o dalla polizia russa. La Russia è questo. Ma noi abbiamo visto bene come si vive nei paesi europei, vogliamo essere libere come siamo libere qui”.
Maria dice che per adesso non conosce nessuno che è andato a combattere contro l’esercito russo. Il cognato voleva arruolarsi fin da subito nonostante non gli fosse ancora arrivata alcuna lettera di convocazione, ma alla fine la moglie lo ha convinto ad aspettare. “Sicuramente se i russi continuano ad avanzare andrà a combattere indipendentemente dalla lettera. Ieri hanno bombardano Kharkiv e Donetsk 60 volte. Io sto impazzendo, non faccio altro che pensare al peggio. Tutti i giorni lavoro tantissimo e cerco di non fermarmi mai perché è l’unico modo che ho per distrarmi un po’”.
Quando le figlie di Maria le hanno detto di non voler lasciare l’Ucraina, ha cercato di mobilitarsi per fare arrivare in Italia amiche e conoscenti. Due ragazze da cui Maria ha lavorato facendo le pulizie si sono dette disponibili ad accogliere profughe in fuga dalla guerra, e quando lei lo ha saputo ha fatto in modo di aiutare la figlia di una sua amica insieme ai suoi nipoti. “Le persone che stanno arrivando non vedono l’ora di tornare. Anche io quando sono arrivata in Italia pensavo di rimanere per poco tempo, ma quando parti con la consapevolezza che starai via per qualche mese sei comunque preparata. Questo è diverso, arrivano con una borsa con qualche vestito, ma la maggior parte delle persone che arrivano pensano di tornare a casa il prima possibile. Non hanno alcuna prospettiva, non c’è nessuna stabilità. Come si fa a chiedere ad una persona che è scappata solo con una borsa se vuole rimanere in Italia o se vuole tornare a casa? Non vogliono ricominciare tutto da capo, non vogliono imparare l’italiano o trovare un lavoro. Anche mia nipote è arrivata a Bologna pochi giorni dopo l’invasione russa, adesso sta da mia sorella e dice che appena può vuole tornare a casa”.
“La pace è complicata – dice Maria – anche se la guerra finirà, quelli che sostengono Putin ci saranno comunque. Ci vorranno tantissimi anni per mettere a posto tutto quanto e ridurre le tensioni. Oggi la maggior parte degli ucraini non pensa che quella di Putin sia un’operazione militare, ma un’occupazione del nostro territorio. Noi vogliamo resistere a questo attacco e a questa aggressione, ma se non riceviamo aiuti in termini di armi come facciamo? La guerra non sta colpendo solo noi, anche in Russia la gente sta soffrendo, le sanzioni stanno mettendo in ginocchio le persone mentre gli oligarchi scappano all’estero”.
Anche se Maria ha partecipato alle manifestazioni di protesta contro la guerra, la guerra si impone come un senso di impotenza. “Alcune settimane fa durante una manifestazione ci siamo sdraiati a terra in solidarietà con le persone che adesso sono in Ucraina. Io piangevo. Sapevo che era inutile, che comunque questo non avrebbe fermato le bombe”. Mi fa vedere i video di piazza del Nettuno piena di bandiere gialle e azzurre e una canzone in sottofondo che mi traduce “Via la guerra dal nostro paese. Fermate questa guerra. Fermate quel tiranno. La guerra provoca solo disastri e morte”. La guerra in Ucraina non è scoppiata all’improvviso il 24 febbraio. “Dal 2014 i nostri soldati partono per combattere. Tantissime persone sono morte. Siamo stanchi di tutto questo. Siamo uguali, anche la lingua che parliamo non è poi così diversa. Siamo nel 2022 e nell’ultimo secolo abbiamo visto cosa fa la guerra e la distruzione che si porta dietro. Ci sono notizie che parlano di stupri sistematici a donne e a bambine. Ho letto che una bambina di tre anni è stata violentata e che subito dopo le hanno disegnato una Z sul petto. Due settimane fa è morta mia suocera, stava male da tempo e l’ultima volta che l’ho sentita mi ha detto: “E’ possibile che sono nata nella guerra, e adesso, dopo 80 anni, devo anche morire nella guerra?”, non riesco a smettere di pensare a queste parole”.