“Patrick Zaki è libero”, così si è decretato e nell’aula del tribunale si è alzato un grido di gioia, perché nonostante non sia stato assolto dopo due anni in carcere, da domani, Patrick Zaky potrà finalmente tornare a casa.
Patrick Zaky è stato rinchiuso con l’accusa di “diffusione di notizie false all’interno dell’Egitto e all’estero tali da recare disturbo alla sicurezza pubblica, diffondere allarme e danneggiare gli interessi pubblici”. Patrick è libero, ma le accuse continuano a pendere sulla sua testa e sappiamo benissimo che non sarà facile, che non è ancora finita.
Patrick è un attivista Lgbtq+, ma in Italia era anche uno studente migrante. Quella stessa Italia che oggi festeggia per questa liberazione, che chiede, giustamente, “libertà per Patrick” proponendo la cittadinanza italiana per lui, non ha invece remore ad applicare le procedure di rimpatrio, le limitazioni dei permessi di soggiorno e a rinchiudere in Cpr uomini e donne migranti che, come Patrick, non si accontentano e vogliono vivere e muoversi liberamente. Non si fa problemi a firmare accordi con altri governi omicidi e, mentre concede la cittadinanza onoraria ad un singolo migrante incarcerato, la nega ad altri milioni di uomini e donne, in attesa da una vita.
Durante questi due anni Patrick non ha mai smesso di raccontare quello che succedeva a lui, ma anche ai tantissimi altri che in quel carcere ancora sono rinchiusi.
Noi lottiamo con e per Patrick, per la sua libertà, per il coraggio che ha avuto in questi due anni in cui ha condiviso una lotta che è di tutte e di tutti.