Mentre migliaia di migranti e richiedenti asilo sono intrappolati al confine tra Bielorussia e Polonia, e ogni giorno muoiono di fame e freddo, il Politecnico di Torino ha avviato una collaborazione con Frontex per fornire dati cartografici in un non meglio definito tratto del territorio “tra Polonia e Russia”. A ottobre, il direttore esecutivo di Frontex durante una visita al confine polacco si è detto positivamente impressionato dal dispiegamento di mezzi utilizzati per rendere sicuro il confine. Stato d’emergenza, idranti aperti contro migranti a una temperatura di 0 gradi senza che medici o volontari possano raggiungere la zona, caccia all’uomo: questi sono i metodi che Frontex apprezza e sostiene.
Non ci stupisce, visto che sono questi i metodi che Frontex ha sempre usato, violando continuamente il diritto d’asilo, rendendosi responsabile di decine di migliaia di respingimenti e dispiegando forze di polizia affinché ai migranti sia impedito di lasciare l’inferno dei campi in Libia o in Turchia. Non ci stupisce considerato che Frontex è il prodotto del regime europeo dei confini che fa dei migranti dei potenziali criminali da perquisire e incarcerare, dei terroristi, o al più vittime di trafficanti o pedine in dinamiche geopolitiche. Frontex è la forza di polizia al servizio di un’UE che finanzia regimi autoritari come quello di Erdogan in Turchia, pur di far sì che i migranti non entrino in Europa, che ha negli anni dichiarato “sicuri” paesi che non lo sono affatto, che assiste ora passivamente all’escalation di violenza lungo il confine polacco. Un sistema dell’asilo violento e strumentale, che mentre respinge molti, poi sa sfruttare chi riesce a fare richiesta d’asilo per fare i lavori essenziali con bassi salari, nell’agricoltura, nella logistica o nelle case, durante le lunghissime attese degli esiti delle commissioni territoriali, che spesso equivalgono a un diniego.
L’unica possibilità che i migranti intrappolati al confine polacco hanno di sopravvivere è di trovare una via di fuga tra il filo spinato, le truppe polacche di fronte a loro e quelle bielorusse alle loro spalle. A che cosa servono le mappe dettagliate fornite a Frontex se non per stroncare ogni possibilità di fuga, l’unica speranza per donne, uomini e bambini che si troveranno in futuro in situazioni simili? Perché un’università che dovrebbe essere votata alla ricerca e alla formazione si è messa al servizio di un’agenzia criminale, chiamata in giudizio dalla stessa Corte di Giustizia europea per le molteplici violazioni del diritto internazionale e a seguito delle centinaia di testimonianze sulle violenze perpetrate dagli agenti di Frontex nei campi, negli hotspot e lungo i confini? Le stesse domande sono state poste da centinaia di studentesse e studenti, ricercatori e docenti, associazioni e collettivi in un appello che sosteniamo e diffondiamo “mai con Frontex!”, dove si chiede la rescissione del contratto con Frontex.
Insieme a collettivi di migranti in molti paesi europei e non solo europei organizzati nel Transnational Migrants Coordination, al fianco delle e dei migranti in Libia che hanno protestato nei mesi scorsi per lasciare i campi in cui sono detenuti, lottiamo per un permesso di soggiorno europeo svincolato dal lavoro, dalla famiglia e dal reddito che ponga fine alla violenza dei confini e ci permetta di raggiungere liberamente il territorio europeo, senza essere sotto il ricatto costante di agenzie come Frontex e del razzismo istituzionale dell’UE e dei suoi Stati. Di fronte a questa pretesa le possibilità sono soltanto due: si può stare dalla parte di Frontex o dalla parte di chi non accetta di essere picchiato, violentata, sfruttato o detenuto perché ha osato sfidare i confini e cercare una vita migliore.