Il 27 Novembre l’Assemblea Donne del Coordinamento Migranti di Bologna scenderà in piazza a Roma per manifestare contro la violenza maschile sulle donne. In questa giornata transnazionale, insieme a moltissime donne in Italia e in tutto il mondo e insieme alle persone Lgbtq+, grideremo tutta la nostra rabbia contro la violenza patriarcale, il razzismo istituzionale e lo sfruttamento. Porteremo in piazza la nostra lotta quotidiana contro la violenza razzista e patriarcale in casa e a lavoro, contro chi pensa di poterci sfruttare di più e pagare di meno per il colore della nostra pelle, perché non abbiamo i documenti o ancora perché siamo bianche ma veniamo dall’Est Europa, un posto che per molti non è altro che un bacino di colf e badanti, disposte a sopportare tutto, magari anche restando subordinate e silenziose. C’è tanto stupore quando alziamo la voce. C’è chi si affretta a chiamarci “pazze” se reclamiamo i salari e il rispetto che ci spettano, e se pretendiamo di non essere molestate dall’anziano cui badiamo o dal padrone che ci fa contratti a giornata.
Siamo donne e siamo migranti: per noi la violenza maschile si intreccia e sovrappone continuamente con molti altri tipi di violenza: essere una donna migrante è una lotta continua per la libertà, per l’autonomia, per non essere sole nelle nostre battaglie e dire a tutte le altre che non possiamo farci dividere. Contro i nostri atti di libertà e di resistenza, il patriarcato tenta in ogni modo di “rimetterci al nostro posto”. Questo accade in tutto il mondo, sia sotto governi autoritari sia nella “democratica” Unione Europea. Quell’Unione Europea che si vanta di difendere i diritti civili e la parità di genere è la stessa che si siede al tavolo con i governi autoritari della Turchia e della Libia per impedire la libertà di movimento dei migranti legittimando così la violenza sui confini, che per le migranti vuol dire botte, stupri, abusi e molestie sessuali. È la stessa Unione Europea che trattiene da più di un mese migliaia di rifugiate e rifugiati che stanno sfidando il confine tra Polonia e Bielorussia e che ha confermato la sua complicità con un regime talebano che vorrebbe tutte le donne rinchiuse, invisibili e sottomesse. Come donne migranti anche senza burqa viviamo – in Europa e altrove – altre forme di ricatto e di violenza istituzionale e domestica che ogni giorno sfidiamo rischiando il nostro futuro e la nostra vita. Il ricatto del permesso di soggiorno legato al lavoro, al reddito, al contratto e alla famiglia trasforma la battaglia contro la violenza domestica in una guerra dove rischiamo tutto. Reagire agli abusi sessuali e razzisti dei padroni e persino chiedere il divorzio significa dover prima pensare dove e come vivere. Per una donna migrante anche solo lasciare il proprio partner vuole dire sfidare un intero sistema patriarcale, familista e razzista. Denunciare le violenze domestiche ci costringe alla scelta fra l’essere libere o l’essere vive. Rivolgersi alle istituzioni può comportare persino il rischio di perdere i figli, perché avere una casa e un lavoro sono requisiti indispensabili, ma le condizioni per averli sono quasi sempre impossibili e richiedono sacrifici enormi anche quando siamo migrate ormai da anni. In questo modo le istituzioni finiscono sempre per essere complici dei mariti assassini. Sui posti di lavoro, nei campi, nelle case dove facciamo le badanti, nei palazzi e ospedali dove facciamo le pulizie, nei magazzini della logistica la nostra vita è nelle mani di un datore di lavoro che può decidere a quali condizioni di sfruttamento tenerci, perché la nostra presenza in Italia è legata a un contratto. In centinaia di migliaia siamo ancora in attesa della sanatoria, che oltre ad essere stata un totale fallimento è una misura emergenziale, per poche, che non risolve il problema della nostra precarietà e anzi dà ancora più potere ai padroni e rende difficile rifiutare le condizioni che ci impongono.
Queste nostre lotte quotidiane restano troppo spesso nascoste o sono duramente punite.
Se il permesso di soggiorno di Saman non fosse dipeso dalla sua famiglia, si sarebbe salvata. Se Adelina non avesse avuto bisogno di un permesso per poter accedere alle cure mediche e avere una casa, oggi sarebbe ancora viva. Se le braccianti dell’Agro pontino non dipendessero dai documenti, si sarebbero ribellate molto prima alle molestie sessuali dei caporali. Non c’è lotta contro la violenza maschile senza lotta al razzismo istituzionale, al ricatto del permesso di soggiorno e allo sfruttamento.
La nostra lotta contro la violenza maschile non si è mai fermata: anche nelle condizioni più pericolose in Iran, in Turchia, in Afghanistan, noi ci siamo organizzate. Non abbiamo rinunciato a combattere durante il viaggio infernale nel Mediterraneo e sulla rotta balcanica, resistendo a Lesbo e in Libia e di certo non ci fermeremo adesso in un’Europa che cerca di “mettere al loro posto” noi donne migranti con strumenti più insidiosi come il recovery plan, che mette al centro la famiglia cercando di scaricare sulle donne, soprattutto se migranti, il lavoro di cura. In Italia l’assegno unico per i figli e il reddito di libertà contro la violenza domestica sono non solo misure insufficienti ma anche palesemente razziste perché escludono la maggioranza delle donne migranti, dimostrando una volta di più che non c’è femminismo senza lotta migrante. Il nostro femminismo è una lotta per la libertà di tutte e tutti, per un permesso di soggiorno europeo slegato da famiglia e lavoro, per l’autonomia e l’autodeterminazione da padri e maschi violenti, da capi molesti che fanno del colore della nostra pelle o della nostra provenienza la legittimazione per trattarci da inferiori e il ricatto per il nostro ipersfruttamento. Il nostro messaggio sabato 27 è che non ci lasciamo intimidire, che rifiutiamo i ricatti e contro la violenza occupiamo le piazze con la nostra voce e il nostro coraggio. La lotta delle migranti è la lotta di tutte le donne che ogni giorno lottano contro la precarietà, la violenza maschile e domestica, la violenza contro le persone LGBTQ+.
Questo 27 novembre non è solo una data importante. È ciò di cui non possiamo fare a meno e il momento per mostrare in massa il nostro coraggio quotidiano, e dobbiamo farlo donne e migranti insieme.