Secondo il Rapporto dell’Osservatorio nazionale sul lavoro domestico sono 311mila i lavoratori e le lavoratrici dei servizi senza permesso di soggiorno, su un totale di quasi due milioni, di cui più della metà in nero. Eppure, nel 2020 sono state presentate solo 177 mila domande di regolarizzazione per il lavoro domestico e di cura e in un settore in cui la stragrande maggioranza delle lavoratrici è donna, ben 113 mila di queste domande sono state presentate da uomini. Dopo più di un anno e mezzo solo 43 mila hanno avuto una risposta, mentre il resto è ancora nei cassetti delle questure. Questi pochi dati dimostrano che la regolarizzazione del 2020, battezzata dalle lacrime di coccodrillo della ex ministra Bellanova, per le lavoratrici migranti è stata nella pratica una truffa oppure un miraggio. Molte hanno dovuto rinunciare perché è stato impossibile anche solo accedere alle assurde procedure burocratiche. Alle lavoratrici è stato infatti richiesto di certificare l’idoneità alloggiativa e un regolare contratto di affitto, quando in realtà molto spesso condividono niente più che una stanza con altre lavoratrici nella loro identica condizione. Molte di quelle che sono riuscite a fare domanda hanno pagato cifre altissime a degli intermediari o ai loro stessi padroni, senza ottenere in cambio nessuna certezza che la richiesta venisse accolta ma soltanto la garanzia di una lunghissima attesa. Questa attesa, che con questi ritmi potrebbe durare anche altri mesi, per le donne migranti che lavorano nelle case significa dover accettare turni senza sosta, mansioni degradanti, talvolta persino le molestie e gli atti violenti da parte dei datori di lavoro dai quali dipendono le loro pratiche. Vuol dire non potersi licenziare pur di non perdere la possibilità di avere un permesso di soggiorno di sei mesi.
Delle tantissime lavoratrici che invece non sono riuscite oppure non hanno voluto presentare la domanda, alcune hanno perso il lavoro e si sono ritrovate dall’oggi al domani senza casa e soprattutto senza permesso di soggiorno, mentre altre sono rientrate nei paesi di origine. Durante i lockdown in molte hanno deciso di abbandonare le case in cui per anni hanno lavorato, perché non accettavano più di essere reperibili 24 ore su 24, spesso senza giorni di riposo. Diversi governi europei, nei primi mesi della pandemia, sono corsi ai ripari o proponendo delle regolarizzazioni-truffa come quella italiana, oppure richiamando badanti e infermiere migranti direttamente dai paesi dell’Est, tramite voli charter di Stato e con l’intermediazione di agenzie interinali che trattengono quote di salario e talvolta persino i documenti, illegalmente, per obbligare le lavoratrici ad accettare le condizioni di sfruttamento. Il coronavirus ha dimostrato che lo sfruttamento di lavoratrici domestiche e migranti è essenziale affinché fabbriche e magazzini continuino a funzionare, affinché nelle famiglie ci sia qualcuno che badi ad anziani e bambini. Per questo i governi in tutta Europa si sono affrettati a rafforzare la gabbia di sfruttamento e violenza in cui è rinchiuso il lavoro domestico e di cura.
La pandemia ha reso ancora più urgente la lotta contro questo sfruttamento, che per le donne lavoratrici migranti è violenza domestica, patriarcale e razzista. Contro i ricatti delle istituzioni e dei governi sono sempre di più le iniziative autonome da parte delle lavoratrici domestiche, specialmente provenienti dall’Est Europa, che mostrano che le migranti, con i loro movimenti e la loro organizzazione, continuano a ribellarsi contro la società patriarcale e razzista dei paesi di provenienza e di quelli di arrivo.
Come Assemblea Donne del Coordinamento migranti crediamo che la lotta contro la violenza sulle donne non possa procedere separatamente dalla rivendicazione di un permesso di soggiorno europeo svincolato dal lavoro, dal reddito e dalla famiglia. La lotta femminista ha bisogno della voce delle donne migranti. Per questo il 27 novembre, in occasione della giornata transnazionale contro la violenza maschile sulle donne, saremo in piazza per la manifestazione nazionale femminista e transfemminista di Non Una di Meno a Roma. Saremo a fianco delle lavoratrici domestiche e della cura e di tutte le donne migranti, perché il loro sfruttamento è parte di quella violenza razzista e patriarcale contro cui ogni giorno ci ribelliamo.