Domenica pomeriggio a Vittoria, nel cuore della fascia trasformata del ragusano, i migranti sono scesi in piazza per mostrare la propria rabbia. Dopo la morte di Fodi, migrante maliano travolto e ucciso da un’auto mentre si recava in bici sul posto di lavoro, USB ha indetto una manifestazione cui hanno risposto in tanti migranti per dire basta alle condizioni insopportabili in cui sono costretti a vivere e lavorare. Questo incidente non è un’eccezione, né una peculiarità del profondo Sud: anche nella ‘democratica’ Emilia-Romagna incidenti sulle strade sono all’ordine del giorno per i migranti e a dicembre Ogbemudia Osifo è stato investito fatalmente mentre andava a lavorare nei magazzini della grande fabbrica dell’interporto. Lo sfruttamento della forza-lavoro migrante è al cuore della produzione, dai magazzini della logistica all’agricoltura, dove 25/30 euro al giorno è la paga per 10/12 ore di lavoro in serra o nei campi, un lavoro essenziale per rifornire le cassette di frutta e verdura dei supermercati italiani ed esteri. Spesso si lavora senza contratto, o con contratti che registrano solo poche ore di lavoro mensile, mentre ci si spacca la schiena dentro una serra per oltre 100 ore a settimana, si rischia ogni giorno di morire nel tragitto verso la campagna in bici o a piedi, perché l’unica alternativa è farsi trattenere una quota di almeno 5 euro (il 25% di quel misero salario giornaliero) dai caporali che organizzano i trasporti. Si vive in catapecchie senza luce né servizi, o in tendopoli come quella di Rosarno, nell’attesa di un rinnovo del permesso perennemente in ritardo, senza alcuna spiegazione da parte delle Questure, senza una tessera sanitaria né la possibilità di accedere a prestazioni sanitarie, perché la minaccia di rimpatrio fa più paura del Covid. Se un migrante chiama la polizia perché vittima di un incidente, o di violenza, spesso viene completamente ignorato dalle forze dell’ordine. Il lavoro migrante è essenziale per portare il cibo sulle nostre tavole, ma le vite dei migranti sono costantemente svalutate dal razzismo istituzionale e dalla brutalità dello sfruttamento. Le e i migranti stanno dicendo basta a tutto questo, dall’interporto di Bologna alle serre di Vittoria, non si può morire per non morire di fame, ma non si può neanche più accettare di vivere così. È necessario intensificare la comunicazione politica affinché le e i migranti trasformino questo rifiuto in forza e processi organizzativi autonomi.