Continua la campagna di denuncia dello sfruttamento all’interno della grande fabbrica dell’Interporto di Bologna. Pubblichiamo la denuncia di M. in occasione della mobilitazione lanciata in Europa dal Transational Migrants Coordination per rivendicare un permesso di soggiorno europeo illimitato e incondizionato nel giorno in cui le istituzioni internazionali, l’Unione Europea e i suoi Stati celebrano la giornata internazionale dei migranti mentre le loro leggi, regolamenti e accordi impediscono la loro libertà di movimento e li condannano allo sfruttamento dentro e fuori confini dell’Europa. Lo facciamo scendendo in piazza [ore 15:00 in piazza Nettuno] assieme alle operaie migranti della Yoox che con la loro lotta stanno dimostrando che si può rispondere allo sfruttamento, che essere donne, migranti, madri non significa dover accettare per paura le condizioni che padroni e Stato vogliono imporci, che l’isolamento in cui le politiche nazionali ed europee pretendono di rinchiudere i migranti può essere rotto. Lo facciamo anche in occasione dello sciopero nazionale dichiarato da SiCobas per i contratti, la sicurezza ai tempi del Covid e la rottura del legame tra permesso di soggiorno e lavoro. Oggi in tutt’Italia si fermeranno tanti magazzini e hub logistici. Questa è l’occasione di affermare che senza il lavoro migrante questi luoghi non esistono. È l’occasione per denunciare ancora una volta l’intreccio di razzismo istituzionale, violenza patriarcale e sfruttamento che governa sistemicamente la vita e il lavoro di migliaia di migranti e richiedenti asilo nella grande fabbrica dell’Interporto e non solo.
L’emergenza del coronavirus sta dimostrano ancora una volta che l’economia e i profitti dell’Emilia-Romagna dipendono in gran parte dalla condizione di ricatto in cui sono tenuti uomini e donne migranti. Ne è una prova questo contratto che ci è stato mostrato da M., un richiedente asilo, firmato con l’agenzia In Opera per lavorare in uno dei magazzini dell’Interporto di Bologna. “Costruttori di futuro” è lo slogan con cui l’agenzia si presenta. Leggendo il contratto diventa poi chiaro che il futuro che hanno in mente per i migranti dura appena 15 giorni. M. è stato assunto per rispondere a “incrementi temporanei, significativi e non programmabili” degli ordini: questo vuol dire che alla fine delle due settimane il padrone potrà valutare se ha ancora bisogno o meno del suo lavoro, e in caso contrario il suo futuro può considerarsi finito, e andrà ricostruito altrove.
Questo di M. è soltanto uno di migliaia di contratti brevissimi con cui ogni giorno sono messi al lavoro migranti e richiedenti asilo nei magazzini dell’interporto, dove ormai gran parte del lavoro è “somministrato” tramite le agenzie con contratti di qualche settimana o addirittura di un giorno. Lo stesso M. ci racconta cosa vuol dire “costruire il futuro” in questo modo: «vuol dire essere chiamati per lavorare qualche ora prima di iniziare il turno, fare ore di straordinario non pagate, lavorare di notte e nei fine settimana, trovare ogni volta un modo per arrivare in tempo al lavoro e per tornare a casa. Anche arrivare puntuali a spaccarsi la schiena infatti è un’impresa non da poco. Gli orari degli autobus non coincidono con gli orari di lavoro, e questo vuol dire aspettare per ore al freddo oppure fare chilometri in bicicletta o a piedi, di notte, su strade percorse dai camion. Se lavori per un’agenzia non puoi nemmeno salire sulle navette messe a disposizione dalle aziende, perché spesso sono solo per i dipendenti diretti e non per gli interinali».
La pandemia si sta evidentemente rivelando un utile pretesto per accelerare la riorganizzazione dello sfruttamento nelle fabbriche e nei magazzini. Lo sciopero delle lavoratrici di Yoox di questi giorni ha mostrato chiaramente qual è la posta in gioco: in tutti i magazzini i padroni puntano ad avere lavoratori e lavoratrici usa e getta, da impiegare solo per il tempo che serve, secondo le esigenze variabili dei loro profitti. La violenza razzista e maschilista si rivela utile per liberarsi di lavoratori e lavoratrici che negli anni hanno scioperato e manifestato contro lo sfruttamento, il razzismo, le molestie e i ricatti sul luogo di lavoro. “Costruire il futuro” intermittente e precario per migranti come M. vuol dire cancellare contemporaneamente le conquiste in termini di salari e condizioni di lavoro strappate con la lotta di questi ultimi anni da lavoratori e lavoratrici in gran parte migranti, spesso contro la complicità di cooperative e sindacati.
Per migranti come M. è difficile dire di no al lavoro, a qualsiasi condizione, perché vorrebbe dire rimanere per anni in un centro d’accoglienza, vivendo con la miseria del pocket money, oppure non riuscire a rinnovare il proprio permesso di soggiorno e finire nella clandestinità perché mancano i requisiti. I padroni sanno perciò di poter contare sul ricatto del permesso di soggiorno, sulla disponibilità di una manodopera a costo bassissimo, appesa a documenti che non arrivano, difficilmente sindacalizzabile. Nei magazzini dell’Interporto ormai lavora a regime un sistema di sfruttamento in cui si intrecciano il razzismo della legge Bossi-Fini, la gestione arbitraria dei permessi da parte di Questura, Prefettura e Commissioni territoriali per l’asilo, la violenza razzista e maschilista delle aziende e il lavoro invisibile delle agenzie interinali che arrivano ad arruolare migranti direttamente dai sovraffollati centri di accoglienza.
Questo è il presente della nostra lotta. Questo è il nostro campo di battaglia. Mettere in crisi un sistema che ci vuole come forza lavoro usa e getta, economica, silenziosa, pronta a dire sempre di sì. Rompere quel ricatto che vorrebbe usare tanti di noi migranti come strumenti contro altri migranti, per abbassare le condizioni di lavoro di tutte e tutti, per depotenziare le loro lotte: questo è il nostro obiettivo presente.