Donne, migranti, femministe. La nostra presa di parola contro la violenza

Sabato 3 ottobre l’Assemblea delle Donne del Coordinamento Migranti ha organizzato il primo incontro pubblico rivolto a tutte le donne che vogliono lottare contro la violenza maschile, il razzismo, lo sfruttamento e la povertà che ci troviamo a vivere. Donne nigeriane, tunisine, italiane, moldave, senegalesi, curde e sierraleonesi si sono incontrate per proseguire il percorso di lotta nato ormai da mesi. Viviamo condizioni diverse, ma sappiamo che queste condizioni sono legate l’una all’altra, e che per affrontarle abbiamo bisogno di uno spazio collettivo di confronto, di parola e di organizzazione, in un momento in cui la pandemia rischia di rendere le nostre vite ancora più dure e di ridurci al silenzio. Noi questo silenzio non lo possiamo accettare.

Essere donne, essere nere, essere migranti, essere povere, essere tutte queste cose insieme rende più difficile lottare, ma lo rende anche essenziale. Che significa però lottare insieme? Come coinvolgere e parlare a tutte quelle donne che non possono partecipare perché il lavoro, il razzismo istituzionale, la famiglia o la paura le rinchiudono? Quando cerchiamo di coinvolgere altre donne, alcune rispondono “non posso parlare, sto aspettando il documento e devo stare buona”; “ora che ho trovato lavoro se mi faccio vedere in pubblico mi possono licenziare”; “se mi vedono protestare perdo il posto nel centro di accoglienza”. Oppure “manifestare non serve, l’ho fatto altre volte e sono ancora qui, mentre mi spacco la schiena facendo tre lavori diversi per sentirmi dire che il mio reddito è troppo basso per rinnovare il permesso o per ottenere la cittadinanza”. Sappiamo che molte donne, migranti e italiane, sono ormai rassegnate a questa normalità, anche se la affrontano e la combattono ogni giorno. Non possiamo negare questa realtà, ma non per questo la vogliamo subire.

Affrontare questa realtà significa dare voce a tutte queste condizioni. Significa riconoscere che sono un nostro problema e che se le ignoriamo, se le mettiamo a tacere, non potremo avere la forza di combattere la violenza che ci opprime tutte. Con questo percorso vogliamo raggiungere tutte quelle donne migranti e italiane che non hanno la possibilità di lottare, perché se vogliamo che qualcosa cambi non possiamo più essere divise.

Questa Assemblea è nata perché in piazza ognuna di noi ha trovato la sua voce nella voce delle altre. Riconoscere questo spazio comune è il primo passo per rifiutare la normalità della violenza e per dare concretezza al nostro femminismo. Per rifiutare le infinite leggi come la Bossi-Fini pensate apposta per logorarci e farci arrendere, che ci impediscono di essere autonome anche se ci spezziamo la schiena per diventarlo. Per non dover più sentire l’avvertimento di un padre che ti dice fin da piccola che in quanto donna, nera e musulmana la tua vita sarà più difficile di quella degli altri. Per rifiutare il razzismo che comincia a scuola e continua quando a 18 anni i nostri figli si ritrovano a dover chiedere il permesso per restare nel loro paese, o rischiano di essere aggrediti e ammazzati per strada. Per rifiutare che come donna sia normale avere un reddito più basso, essere povere. Vogliamo che le parole della nostra lotta esprimano la rabbia di tutte le donne che stanno vivendo “sottoterra”, perché a casa hanno un marito che le opprime, perché a lavoro i padroni le trattano come macchine, perché il permesso di soggiorno le ricatta e mette in pericolo la loro vita, perché il lavoro domestico le confina in casa, perché i turni di lavoro impossibili rendono difficilissimo lottare e anche vivere.

La nostra voce collettiva è nelle lotte che ovunque le donne continuano a portare avanti. Abbiamo costruito, insieme a donne e lavoratrici provenienti dall’Est Europa e non solo, la rete E.A.S.T.  per connettere le lotte femministe, sul lavoro, nelle case, che in questi mesi sono state la risposta allo sfruttamento e alla gestione razzista e patriarcale della pandemia. In questi mesi molte di noi hanno partecipato con il Coordinamento Migranti al Transnational Migrants Coordination e si sono organizzate anche attraverso i confini. Grazie a questa iniziativa transnazionale la nostra lotta si intreccia a quella delle lavoratrici domestiche migranti che in Spagna lottano contro le misure di confinamento che negano la loro salute e la loro libertà, a quella delle donne e degli uomini curdi che in Turchia stanno portando avanti la battaglia transnazionale contro il razzismo e sfidando la repressione di un governo autoritario e a molte altre lotte che oggi sono unite da un progetto condiviso. Siamo legate a queste lotte e dobbiamo farle vivere in ogni luogo, perché ci danno la forza di sapere che non siamo sole e perché il coraggio si conquista collettivamente.

In ogni progetto di vita noi sentiamo il peso della differenza, del colore della nostra pelle, del nostro modo di parlare, del permesso di soggiorno e dei lavori che siamo costrette a fare in quanto donne. È il momento di far sentire il peso della nostra differenza per rovesciare questa situazione. La prima occasione per farlo è la giornata di lotta transnazionale del 17 ottobre per un permesso di soggiorno europeo slegato dal lavoro, dal reddito e dalla famiglia e per la nostra libertà! In quella piazza ci faremo sentire ancora per urlare a gran voce che non c’è libertà possibile per le donne se non combattiamo ogni giorno la violenza razzista e lo sfruttamento che ci opprimono. Questo è il nostro progetto, verso il 17 ottobre e oltre.

 

Invitiamo tutte coloro che vogliono partecipare al percorso dell’Assemblea Donne a scrivere a:

assembleadonnecoomigranti@gmail.com

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