Willy Monteiro è morto perché era figlio di migranti. È morto perché era nero, perché sul suo corpo il razzismo che sta dentro la società italiana pensa di aver diritto a infierire e ad accanirsi. Willy non era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Willy era al posto giusto, quello dove si difendono gli amici. È il razzismo che è dappertutto e ovunque nel posto sbagliato.
C’è chi ancora si interroga sul ruolo delle arti marziali o del disagio sociale in questa vicenda. Ma è nel razzismo che sono cresciuti gli assassini bianchi di Willy. È nel razzismo e nel culto patriarcale della violenza che rende i maschi “veri maschi” quando molestano le donne o aggrediscono i neri. È nel fango di chi pensa che le vite dei neri e dei migranti non valgono quanto quelle dei bianchi.
Willy è morto perché il razzismo si fa più violento quando si sente minacciato e attaccato. Dopo la morte di George Floyd, un grande movimento di donne e uomini in tutto il mondo sta dicendo che i neri non sono disposti a farsi ammazzare. Che il colore della pelle non può autorizzare nessun abuso e nessuna gerarchia. Questo oggi i razzisti non lo possono accettare, ma dovranno farlo. Trasformiamo il grido di dolore in una pretesa inarrestabile di dignità e di libertà che è lo stesso delle e dei migranti che non sono disposti a farsi rinchiudere in un centro d’accoglienza-quarantena in attesa del Covid-19 o di farsi sfruttare. A quello di chi lotta per un documento nei campi, nei magazzini, nelle fabbriche, nelle case ad assistere gli anziani italiani. Il razzismo è dappertutto, ma dovunque trova un rifiuto nero e migrante.
Per dare voce e forza a questa pretesa, sosteniamo l’organizzazione del presidio di sabato 19 settembre per Willy. Perché il razzismo non può più stabilire quanto vale una vita.