Black lives matter. Questo dice la rivolta che scuote gli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd. Dietro questo slogan hanno trovato spazio la rabbia spontanea contro il razzismo che uccide e una miriade di forme di lotta e organizzazione. Questo dicono anche le manifestazioni che si stanno verificando in tutto il mondo e hanno raggiunto l’Italia. Questo ha detto la piazza di Parigi pochi giorni fa, unendo la rabbia per l’uccisione di George Floyd con quella per l’omicidio a Parigi di Adama Traoré, sempre per mano della polizia. Questo abbiamo gridato il 30 maggio a Bologna, all’interno di un’iniziativa transnazionale dei e delle migranti per rivendicare un permesso di soggiorno europeo senza condizioni. La novità di oggi non è la violenza della polizia, ma la rivolta che dice che questa violenza si appoggia ad un razzismo istituzionale che impone povertà e sfruttamento. Di questo razzismo si nutrono l’arbitrio dei padroni e quello dei governi ovunque nel mondo. Di questa rabbia si nutrono le lotte di chi vuole rovesciare questo sistema. La novità di oggi è la voce dei e delle migranti che si unisce alle centinaia di migliaia di voci di afroamericani, neri, latinos, giovani, donne, lavoratori in rivolta da Minneapolis a New York, da Memphis a Seattle. Ma tutto questo, chi ha convocato la piazza di Bologna del 6 giugno per chiamare a raccolta l’indignazione per l’uccisione di George Floyd, non vuole vederlo. Chi ha convocato quella piazza evoca la solidarietà, ma continua ad ignorare che i migranti esistono, lottano, si organizzano. Noi migranti siamo con chi sceglie da che parte stare contro il razzismo in ogni sua forma, ma siamo stanchi del razzismo solidale che ci vede solo come morti da nominare, vittime da sostenere o incapaci di parlare.