Dopo settimane di patetico dibattito sulla pelle delle donne e degli uomini migranti, la regolarizzazione tanto sbandierata dal governo inizierà il primo giugno per concludersi il 15 luglio. Non sono ancora chiare le modalità per accedere e bisognerà aspettare decreti e circolari ministeriali per comprenderne il preciso funzionamento. Altre cose sono invece chiarissime: anche se la ministra Bellanova piange dalla commozione, questa regolarizzazione non è pensata per i migranti. Permetterà a tanti e tante di emergere dal lavoro nero, di avere in tasca un permesso di soggiorno per altri sei mesi, di uscire dalla clandestinità a tempo determinato. Ma la condizione di sfruttamento del lavoro migrante non cambierà. Non è un caso che l’ex ministro Maroni, leghista e storico nemico dei migranti, abbia detto che questa regolarizzazione è uguale a quella che fece lui nel 2012. Sappiamo come è andata in quel caso: molti di coloro che avevano ottenuto il permesso dopo qualche mese lo hanno perso. Lo stesso accadrà questa volta.
Questa regolarizzazione non è per tutte e tutti i migranti, ma riguarda soltanto quelli che hanno lavorato o lavorano in nero nei settori dell’agricoltura, della cura e del lavoro domestico. Il datore di lavoro che decide di pagare 400 euro per ogni lavoratore che intende assumere deve presentare in questura un “contratto di soggiorno per lavoro” che garantisce al migrante il permesso di restare in questo paese soltanto finché lavora per la sua azienda o nella sua casa. Il testo del governo prevede inoltre un permesso temporaneo di sei mesi per i migranti e le migranti il cui permesso è scaduto prima del 31 ottobre 2019 e la cui domanda di rinnovo non è stata accolta. Questa possibilità vale solo per chi non ha già ricevuto un decreto di espulsione e riesce a dimostrare di aver lavorato in quei settori. In questo caso sono i migranti a dover pagare 160 euro.
Bagnata dalle lacrime di coccodrillo della ministra Bellanova, questa regolarizzazione pretende di mettere fine a uno sfruttamento intollerabile, facendo di quello dei braccianti, delle badanti e delle colf l’unico sfruttamento. Qualche verità a questo proposito va detta anche senza piangere. I migranti che lavorano nell’edilizia, nella logistica, nelle fabbriche e nelle cooperative di pulizia, in nero, tramite agenzie e con contratti a chiamata che spesso non bastano nemmeno per avere e rinnovare un permesso per lavoro sono sfruttati con o senza il permesso di soggiorno. Il governo sa benissimo che non saranno i datori di lavoro a pagare i 400 euro necessari per la regolarizzazione di ogni migrante. Come sempre in questi casi si aprirà un mercato nero di contratti e documenti. Benedetta dalle lacrime della ministra, questa regolarizzazione legalizza il caporalato privato attraverso il caporalato di Stato: procura forza lavoro quando serve, a chi serve e per il tempo che serve, per far fronte così al vuoto lasciato da chi con la pandemia ha deciso di tornare nel suo paese o di non venire in Italia per il lavoro stagionale. Chi sarà regolarizzato tramite il “contratto di soggiorno per lavoro” non sarà libero di muoversi per cercare un salario migliore altrimenti perderà i documenti. Il padrone potrà ricattarlo a piacimento, potrà chiedere ore di straordinario, turni di lavoro massacranti, perché sa che da lui dipende il permesso di soggiorno. Chi otterrà un permesso temporaneo sarà invece costretto ad accettare qualsiasi lavoro oppure dopo sei mesi sarà nuovamente irregolare. Questa regolarizzazione a tempo determinato incatena il lavoro migrante alla legalità della legge Bossi-Fini e delle leggi Salvini che mantengono donne e uomini perennemente sull’orlo della clandestinità.
Contro questa regolarizzazione dello sfruttamento i migranti che lavorano come braccianti sciopereranno il 21 maggio. Contro il ricatto del permesso di soggiorno legato al lavoro e al reddito, per un permesso di soggiorno europeo incondizionato saremo in piazza il 30 maggio a Bologna.