La Libia tra il martello della guerra e l’incudine della pandemia COVID-19

Da un anno la situazione in Libia è critica, e continua a essere tale soprattutto da quando il maresciallo Haftar ha deciso di invadere la capitale Tripoli, combattendo contro le milizie di Al-Sarraj. La guerra in corso ha prodotto una condizione di miseria per tutti i residenti in Libia, siano essi cittadini o migranti. La devastazione prodotta dai violenti scontri sanguinari ha provocato la morte di centinaia di civili e lo sfollamento di altre migliaia.

Nella parte occidentale della Libia, i centri di detenzione dei migranti sono diventati un’attraente opportunità commerciale per le milizie armate e le reti di trafficanti di esseri umani, che così hanno l’occasione di guadagnare parecchi soldi.                         

Lì, in luoghi simili alle carceri, non è possibile distinguere tra i funzionari e i trafficanti di esseri umani, così come non è possibile comprendere quali sono i loro reali compiti all’interno di questi centri: si prendono cura e proteggono i migranti fino a quando non vengono riportati nei loro paesi (come dicono spesso di fare), o finché non sono stremati dalla miseria. Alcuni di questi centri di detenzione sono sotto il comando dei funzionari in contatto con il governo di  Al-Sarraj.                                                                

Guardando chi gestisce i campi di detenzione, e chi lavora nella Guardia Costiera – che dice di ‘salvare’ i migranti nel Mediterraneo per riportarli in Libia – si capisce che esiste un legame tra le persone a cui il governo di al-Wefaq, guidato da Fayez al-Sarraj, ha assegnato il compito di sorvegliare questa rete, e i leader della milizia e i signori della guerra che oggi tutti insieme partecipano ai combattimenti a Tripoli.                                                                                                 

La sanità in Libia sta affrontando crisi soffocanti a causa della guerra civile e della divisione politica che spacca il paese da anni: gli ospedali libici soffrono di una grave mancanza di medici, infermieri, medicine e requisiti operativi di base. Inoltre, un gran numero di strutture sanitarie sono state chiuse o perché prese di mira direttamente dagli attacchi armati, o perché si trovano in zone in cui questi scontri proseguono senza sosta.                           

I centri di detenzione sono sovraffollati di migranti che soffrono perché lasciati in condizioni umane e sanitarie pessime. Alla mancanza di strutture sanitarie, per la sanificazione, delle mascherine e dei guanti, nonché alla grave carenza di cibo, si sommano le misure di coprifuoco che impediscono alle persone di spostarsi tra le sei di sera e le sei del mattino, rendendo la situazione ancora più complessa da gestire. Ciò accade in un momento in cui i voli destinati al rimpatrio dei migranti sono stati sospesi a causa della diffusione dell’epidemia, e quindi le persone sono costrette a continuare a vivere in quell’inferno o ad accettare il ricatto che li mette di fronte all’alternativa di partecipare alla guerra, o morire di fame e malattia. In entrambi i casi, le loro vite sono in pericolo, soprattutto perché la maggioranza dei centri di detenzione si trova nelle zone degli scontri che in questi giorni si sono spostati a Tripoli.