Libertà sessuale, libertà dei migranti: la libertà nessuno te la regala!

Intervista a Mazen del Coordinamento Migranti

Coordinamento Migranti: Ciao Mazen, come sai Fabrizio Marrazzo – Portavoce del Gay Center di Roma – ha affermato che la comunità italiana di migranti LGBTQIA* avrebbe detto di essere contraria alla sanatoria di cui si sta parlando in questi giorni perché “pubblicizza l’Italia come terra dai facili permessi”, favorendo così i trafficanti e le vittime nel Mediterraneo. Come migrante e come attivista, cosa pensi di questa dichiarazione?

Mazen: Io credo che la dichiarazione dica molte sciocchezze. Prima di tutto, questa persona ha detto di parlare a nome di altre che invece non si sentono rappresentate da lui. Ha parlato a nome della comunità migrante LGBTQIA*, ma non dovrebbe parlare a nome di nessuno perché non sa nulla di quello che passano i migranti, e in particolare i migranti LGBTQIA*. Ha detto di parlare anche a nome mio, ma ha fatto una dichiarazione ridicola, ignorando che noi siamo perfettamente in grado di dire con la nostra voce quello che pensiamo di questa sanatoria. Lui ha detto che l’Italia è una «terra dei facili permessi»… Ma dove? Ma non sa quello che significa per i migranti ottenere o rinnovare un permesso?

Io la mia opinione su questa sanatoria ce l’ho, e non è la sua. Non mi piace perché è legata alla pandemia, perché non è la soluzione definitiva alla condizione di ricatto dei migranti. È chiaro che in questo momento può essere una cosa positiva, un’occasione per tanti migranti per regolarizzare la loro posizione. Ma allo stesso tempo è anche un foglio per regolarizzare lo sfruttamento. È sfruttamento istituzionale: il governo si è svegliato perché ha scoperto che ha bisogno dei migranti e del loro lavoro in questo periodo. È evidente, quindi, che Marrazzo ha preteso di parlare per me, ma con la sua dichiarazione imbarazzante non lo ha fatto.

CM: Hai giustamente scritto in un post su Facebook che rivendichi la tua voce e la tua posizione, non rappresentabile da altri. Troppo spesso invece c’è chi si erge a rappresentante di questa o di quella identità, con dichiarazioni strumentali. In questo caso i migranti LGBTQIA* sono usati strumentalmente per sostenere la violenza del razzismo istituzionale. Come pensi che i migranti possano far sentire direttamente la loro voce e le loro richieste?

Mazen: Io credo che gli unici mezzi siano l’organizzazione e la lotta. L’impegno in questo senso è l’unico che può permetterci di prendere più spazio. Prendiamo la parola, diciamo quello che pensiamo! Io ho sempre pensato che la libertà nessuno te la regala se non è frutto della tua lotta: io non devo aspettare che qualcuno venga e mi dica “ehi, questo è il tuo posto, questo è il tuo spazio”.

Questo vale sia per migranti, rifugiat* e richiedenti asilo in generale, sia per quelli LGBTQIA*. Allo stesso tempo, però, io credo che si debba evitare la modalità del ghetto o della comunità chiusa. Esistono ad esempio gruppi specifici di migranti LGBTQIA*, io li rispetto, credo che facciano un ottimo lavoro, però io la penso un po’ diversamente. Ti dirò la mia posizione, in questo caso parlo a titolo esclusivamente personale: io sono un* rifugiat*, trans*, intersex, ner*, vivo in Italia, parlo italiano, ho amici italiani e non italiani. Per me prendere la parola e far sentire la mia voce vuol dire farlo anche dentro le associazioni e le organizzazioni LGBTQIA* italiane. Più in generale, vuol dire stabilire la mia posizione dentro le lotte stesse. Io quando scendo in piazza scendo per tutt*, sono alleat* di chi fa sentire la propria voce, di chi parla con la propria voce, perché quella è anche la mia lotta, e lo faccio al fianco di compagn* italian* o no.

Però ti dico la verità, non è facile. Nell’associazionismo e anche nell’attivismo c’è spesso un discorso di superiorità, si tende a infantilizzare chi è migrante, a togliergli la possibilità di dire la sua e incidere sul discorso. Io ho 18 anni di esperienza di lotta alle spalle, fatta in diversi paesi, in molti scenari di guerra. Come me, ci sono tant* attivist* migranti di valore, con capacità, con esperienza, ma in giro ancora c’è l’idea che siamo gli ultimi arrivati. Oltre al fatto che l’ultimo arrivato può anche essere quello con i pensieri migliori, io credo che la lotta sia un’esperienza collettiva, e a questa esperienza io e altr* partecipiamo da anni, nei nostri paesi, in altri, e qui in Italia. Perciò non accettiamo di essere trattati come quelli che vanno aiutati, quelli a cui le cose vanno spiegate o insegnate.

Mazen, di spalle, alla manifestazione del 15 febbraio a Bologna contro il razzismo e lo sfruttamento. Foto di Michele Lapini.

CM: Da tempo partecipi e contribuisci alla costruzione delle lotte del Coordinamento migranti. Insieme a un collettivo francese di lavoratori migranti (Collectif des Travailleurs Sans-Papiers de Vitry), abbiamo di recente rilasciato una dichiarazione transnazionale in cui abbiamo rivendicato un permesso di soggiorno europeo slegato dal lavoro, dai ricongiungimenti familiari e dal reddito. Molte persone migranti LGBTQIA* sono costrette a fuggire da persecuzioni legate alla propria libertà sessuale. Pensi che un permesso di soggiorno europeo incondizionato possa rispondere a questa pretesa di libertà di movimento e di autodeterminazione?

Mazen: Questo ha a che vedere con quello che dicevo sulla sanatoria. Il permesso di soggiorno europeo è un’idea in cui credo molto, deve essere l’obiettivo delle nostre lotte. Dobbiamo fare in modo che sia slegato dal lavoro, dal reddito, da tutto quello che tiene i migranti sotto ricatto e fa vivere loro una vita precaria. Allo stesso tempo, però, credo che tra migranti esistono situazioni diverse, e ci sono casi in cui il permesso di soggiorno europeo può non bastare. Ad esempio, molt* rifugiat* che scappano perché nel loro paese non vedono accettato il loro orientamento sessuale o di genere, o anche quelli che scappano per motivi etnici o religiosi, spesso non possono o non vogliono tenere rapporti con i loro paesi di origine. Per molte persone migranti trans non binarie, è una vera odissea poter rinnovare i propri passaporti o documenti di identità nei paesi di origine, e spesso, dopo essere scappat*, “spariscono” completamente dai registri di quei paesi. Io credo che in tutti questi casi il discorso del permesso di soggiorno debba andare di pari passo con il discorso della cittadinanza: è importante garantire e velocizzare le procedure per accedere alla cittadinanza, e la questione dell’asilo politico va assolutamente legata a quest’aspetto.