In questi mesi di pandemia non abbiamo smesso di lottare contro razzismo e sfruttamento. Stiamo protestando contro le squallide condizioni di vita nei centri di accoglienza e detenzione, nei foyers e negli accampamenti dove siamo esposti più di altri al rischio di contagio. Molti di noi si rifiutano di andare a lavorare senza protezione. Altri stanno tornando nel loro paese. Altri ancora si sottraggono agli accordi che alcuni governi europei stanno stipulando con paesi extraeuropei per reclutare e fornire alle imprese forza lavoro usa e getta.
In molti stiamo scioperando nelle fabbriche e nei magazzini non solo europei, insieme a chi ha la cittadinanza. Le regolarizzazioni o le richieste di manodopera dirette unicamente ai rifugiati che alcuni paesi, come il Portogallo e la Francia, hanno messo in atto, (per tutti o solo per alcuni) al fine di metterli al lavoro nei campi, i voli charter che sono stati organizzati per gli stagionali, i corridoi speciali per braccianti e badanti, e le sanatorie annunciate da diversi governi per far fronte alle esigenze produttive per noi non sono la soluzione. Non vogliamo un pezzo di carta che legalizzi il diritto a sfruttarci: vogliamo libertà di movimento, libertà dal razzismo istituzionale e dallo sfruttamento. La nostra vita non può dipendere dal legame tra documenti, lavoro e famiglia.
La pandemia ormai diffusa a livello globale sta mostrando che mentre il lavoro migrante è considerato essenziale, le vite delle donne e degli uomini migranti non sembrano esserlo. Noi migranti possiamo essere lasciati morire in mare o alle porte dell’Europa, possiamo essere rinchiusi nei centri di detenzione o di accoglienza, possiamo essere licenziati e perdere i documenti, possiamo essere lasciati in mezzo alla strada senza casa, ma il lavoro migrante viene costantemente richiesto per curare anziani, bambini e malati, per pulire le case e gli uffici, per raccogliere la frutta e la verdura prima che marcisca nei campi, per mandare avanti le fabbriche e i magazzini dove la produzione si affretta a ripartire. In Europa come in tutto il mondo,gli Stati usano la pandemia per ridurre il lavoro migrante a semplice strumento per salvare il profitto, pronto per essere spostato dove serve e solo per il tempo necessario. Le nostre vite valgono solo se arricchiamo qualcuno che non siamo noi: questo dicono le leggi nazionali sull’immigrazione, le politiche europee e gli accordi internazionali.
Oggi più che mai le nostre lotte non possono fermarsi ai confini e alle leggi nazionali, che ci inchiodano ai datori di lavoro, al reddito e ai ricongiungimenti famigliari. Per questo dobbiamo rompere l’isolamento delle nostre lotte: noi che i confini li abbiamo attraversati e li sfidiamo ogni giorno, non possiamo dipendere dai calcoli dei singoli governi. Già in passato abbiamo scioperato e protestato insieme in Francia, in Italia e in altri paesi europei. Oggi che gli Stati europei si accordano per intensificare lo sfruttamento del lavoro migrante e il razzismo istituzionale che lo sostiene, dobbiamo ancor di più essere in grado di parlare con una sola voce. Per chi vive da anni con un permesso di soggiorno, per chi dopo anni è ancora senza documenti, per chi li perderà a causa della pandemia, per chi è arrivato da poco e vede negata la sua richiesta d’asilo, per chi si scontra con la violenza dei confini dentro e fuori l’Europa, per chi ha subito e subisce la violenza sessuale nei campi della Libia e non solo, vogliamo un permesso di soggiorno europeo illimitato e incondizionato, svincolato da famiglia, reddito e lavoro. Contro le politiche razziste che pretendono da noi un lavoro che è sempre essenziale mentre le nostre vite possono sempre essere sacrificate, è il momento di organizzarci attraverso e oltre i confini: è il momento di affermare la nostra libertà contro lo sfruttamento.
Collectif des Travailleurs Sans-Papiers de Vitry
Coordinamento Migranti Bologna