Sovraffollamento in “casa” e continua esposizione al rischio contagio sono la fase 2 dei migranti del centro di accoglienza Mattei. Esattamente come la fase 1. Lo stesso d’altronde si può dire di altri centri di accoglienza o di espulsione in giro per l’Italia e nei giorni scorsi nel CAS di Alpignano nel torinese e nel CPR di Gradisca in Friuli i migranti hanno manifestato dopo che alcuni di loro sono risultati positivi al tampone.
Dopo il sospetto caso di coronavirus, su cui non è mai stato fatto un tampone, anche a Bologna la denuncia dei migranti del Mattei continua, ma la prefettura e le altre istituzioni di questa città e regione fanno quello che gli riesce meglio: ricordare quanto l’Emilia-Romagna sia una regione accogliente e antirazzista, per poi lasciare le cose come sono. Parlare tanto per non fare niente. Ora però – dopo un’istanza legale presentata dall’ASGI al Tribunale di Bologna – non potranno continuare a ignorare la situazione. Il Tribunale ha infatti fissato un’udienza per martedì 5 maggio. È una data che indica un futuro ancora troppo lontano per chi vive da oltre due mesi con la paura di infettarsi perché è costretto a vivere in una condizione di sovraffollamento. Ma almeno la Prefettura, il Comune e la cooperativa che ha in gestione il centro entro sabato 2 maggio dovranno presentare al giudice informazioni dettagliate non soltanto sulle misure adottate per la prevenzione del contagio nel centro, ma anche sulla possibilità di individuare strutture alternative. Lo ribadiamo ancora una volta: il Mattei e gli altri centri vanno chiusi e i migranti ospitati in case!
Intanto però al Mattei si vive assembrati nelle camere e continuano gli abusi. Approfittando dell’emergenza Coronavirus, la Prefettura crede di poter trasformare il Mattei nel vecchio centro di detenzione: ai migranti che escono dal centro – sia per motivi di lavoro, sia per fare delle piccole spese – viene richiesto di firmare un foglio in uscita e al rientro, come se fossero ai domiciliari. Come se non bastasse, oltre al danno della limitazione della libertà, anche la beffa dell’espulsione. È infatti di qualche giorno fa la notizia di un migrante cacciato dal centro. Mourtada ha avuto un’opportunità di lavoro con Eurovo, un’azienda in provincia di Ferrara, a Codigoro. Con in tasca l’autocertificazione, è andato a fare il periodo di prova. Mourtada non è però riuscito a combinare gli spostamenti tra il Mattei e un posto di lavoro che con l’epidemia è ancora più lontano e difficile da raggiungere. Per tre giorni, per essere certo di ripresentarsi l’indomani al lavoro in orario, si è fermato a dormire a Codigoro. Così, tornato al centro, si è visto consegnare la comunicazione di espulsione dagli stessi operatori che lo avevano aiutato a stampare e compilare l’autocertificazione. Evidentemente, pur di rispettare le direttive della prefettura per cui chi rimane a dormire fuori dal centro viene espulso, la cooperativa ha ignorato la circolare ministeriale che qualche settimana fa ha stabilito che, per ovvie ragioni legate al controllo della pandemia, non possono essere espulsi dall’accoglienza i migranti che ne perdono il diritto. Non dubitiamo che la prefettura sia a conoscenza di quanto successo. Ma allora che cosa ha da dire? Pensa forse che l’affollamento si riduca espellendo i migranti che sono costretti a uscire per motivi di lavoro, così da non dovere dare risposte concrete al giudice il prossimo 5 maggio? Non lo sappiamo, sappiamo però che troppo spesso la limitazione della libertà dei migranti dipende dall’arbitrio delle istituzioni.