«Il lavoro non si può comandare». Lo sfruttamento del lavoro migrante alla Bartolini di Bologna – intervista collettiva

Il caso della Bartolini non è eccezionale, è la normalità della grande fabbrica dell’Interporto e dell’intero settore della logistica. Questa normalità dello sfruttamento rischia di diventare un incubo di irregolarità ancora peggiore per migranti e richiedenti asilo durante l’attuale emergenza coronavirus. Molti di quelli che hanno contratti a chiamata restano a casa senza soldi e senza la possibilità di accedere né agli ammortizzatori sociali né alla disoccupazione. In molti magazzini del nord Italia, i richiedenti asilo sono chiamati a lavorare per rispondere all’aumento di richieste oppure per sostituire i lavoratori assenti, malati o in sciopero. Molti sono reclutati direttamente dai programmi di accoglienza, attraverso un meccanismo che coinvolge anche le istituzioni.

Oltre cinquanta migranti impiegati nel magazzino bolognese di Bartolini, nota azienda di corrieri e spedizioni, sono stati licenziati tra fine dicembre e inizio di gennaio, non appena cessato il solito picco di lavoro natalizio. Come Coordinamento Migranti Interporto abbiamo incontrato alcuni di loro e questa intervista collettiva mostra che anche Bartolini, come fanno la maggior parte delle aziende della logistica dell’Interporto di Bologna, integra la forza lavoro stabilmente impiegata nel magazzino utilizzando agenzie interinali che mettono al lavoro migranti – in particolare richiedenti asilo – con contratti brevissimi e con salari da fame, senza alcuna tutela e sicurezza. Per effetto del Decreto Dignità emanato dallo scorso governo, che impegna l’azienda ad assumere il lavoratore a tempo indeterminato dopo 12 mesi di contratti a termine, le aziende mettono al lavoro i migranti per periodi sempre più brevi e prestano la massima attenzione affinché nessuno di loro possa lavorare nello stesso posto o per la stessa agenzia abbastanza a lungo da poter accedere a un contratto a tempo indeterminato, conquistare così un salario maggiore e aumentare il livello di reddito che – insieme al contratto di lavoro – è necessario per ottenere o rinnovare un permesso di soggiorno per lavoro. Oltre al danno, anche la beffa: molti di loro rischiano di non raggiungere il numero di mesi necessario per avere diritto alla disoccupazione.

Attualmente le procedure per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno sono sospese, e i permessi in scadenza durante l’emergenza sono prorogati fino al 15 giugno. Ma finita questa emergenza, ai migranti sarà ancora richiesto di avere un contratto di lavoro e un determinato reddito per rimanere in Italia. Alla luce di tutto ciò ci chiediamo: con il ritorno alla normalità, i migranti e le migranti che durante questa sospensione perderanno il lavoro o vedranno ridotto orario e salario avranno ancora i requisiti di legge per rinnovare il permesso? E cosa succederà ai tanti messi al lavoro per far fronte all’emergenza coronavirus? Saranno lasciati a casa una volta, come è successo e continua a succedere a Bartolini?

CMI: Come è il lavoro in Bartolini?

M: Il lavoro al magazzino è faticosissimo e molto difficile, infatti quelli che ci lavorano sono tutti quanti migranti. Noi lavoravamo sempre di notte, normalmente chiamati per un turno che doveva essere di 4 ore ma che poi iniziava a mezzanotte e finiva alle 8 del mattino con una sola pausa di mezz’ora. Dalle 3 del mattino a fine turno non si fa nessuna pausa. Molto spesso in Bartolini si lavora anche 12 o 13 ore e non tutte le ore lavorate vengono pagate. È un lavoro frenetico di carico e scarico di scatoloni e bancali che devono riempire i container. È un lavoro che si fa con le braccia e le scatole possono essere anche pesantissime. In quaranta o cinquanta minuti si riempie un container e poi si corre a quello successivo.

CMI: È un lavoro pericoloso?

M: Sì, può essere molto pericoloso perché fai tanta fatica fisica per un periodo di tempo lungo e devi comunque sempre stare concentrato sui movimenti tuoi e degli altri. Nel magazzino molte persone si muovono in fretta in uno spazio piccolo, ciascuno ha la sua posizione dalla quale carica e scarica pacchi sul rullo ma a volte bisogna spostarsi. I muletti stanno tutto intorno e si muovono, sono pericolosi. Una volta, mentre io ero in turno, un ragazzo si è schiacciato una mano facendosi male. Lo hanno mandato a casa e non è mai più stato chiamato a lavorare là.

Immagine che contiene interni, edificio, treno, soffitto

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CMI: Che tipo di contratti fa Bartolini?

M: Siamo andati a lavorare nei magazzini di Bartolini tramite un’agenzia del lavoro interinale che si chiama ETJCA, all’inizio i contratti erano di un giorno, poi di cinque, o anche quindici. All’inizio ti chiamano il giorno stesso, anche due ore prima del turno, al telefono, e ti dicono “a mezzanotte devi lavorare”, senza altro preavviso… se dici di no smettono di chiamarti, tu come uomo, con i tuoi bisogni proprio non esisti, ti trattano più come un animale.  Dopo sono venuti contratti un po’ migliori ma i più lunghi che abbiamo avuto sono stati di due mesi e mezzo. Io ho lavorato lì nove mesi, altri anche meno, moltissimi hanno ricevuto comunicazione che non avrebbero più lavorato a Bartolini già a dicembre, mentre noi il 15 gennaio. La ETJCA ora non c’è più, Bartolini utilizza un’altra agenzia del lavoro che si chiama Gi Group, questi ci hanno detto che non avrebbero più chiamato nessuno dei migranti che hanno già lavorato al magazzino tramite ETJCA.

CMI: Come si comportano i capi?

M: Ci sono diversi capi, il capo di giorno è italiano, quello di notte è bengalese. I capi ti danno continuamente ordini “vai di qua!”, “dai corri!”, “vai di là!”, ti stanno con il fiato sul collo per tutta la durata del turno, se vai lento o non riesci a stare al ritmo lo segnalano all’agenzia e smettono di chiamarti. Spesso sono razzisti e parlano tra loro in altre lingue per non farsi capire dai migranti. Alla Bartolini nessuno ti rispetta. Questo modo di lavorare mette anche i lavoratori gli uni contro gli altri, una volta un collega che si era assentato un attimo per fumare mi ha aggredito perché non ero riuscito a coprire il suo lavoro, lo avrei fatto volentieri ma c’era troppa roba, troppa, io non sono una macchina! I capi però sono i peggiori, ti mettono sempre fretta e ti stressano e soprattutto ti minacciano, rompono sempre i coglioni, comandano e… non si può comandare il lavoro.

CMI: Cosa pensate di fare adesso?

M: Ora restiamo in attesa, speriamo di trovare un altro lavoro o di ricevere la disoccupazione. A quelli che sono stati licenziati a dicembre sono arrivati 200 o 300 euro di TFR da Bartolini, noi non abbiamo ancora visto un soldo e aspettiamo. Ormai sono anni che siamo qui, non c’è mai lavoro, non c’è vita, e troppo spesso veniamo maltrattati.