Sono ormai passate quasi due settimane dalla lettera aperta con cui abbiamo denunciato la situazione di pericolo in cui vivono i migranti al Mattei e in altri centri di accoglienza a Bologna. Sono seguite altre lettere (qui e qui) ma ancora nessuna risposta reale, soltanto rassicurazioni poco rassicuranti e dichiarazioni di intenti a cui non stanno seguendo fatti. Mentre il comune di Bologna per voce dell’assessore Lombardo affermava di aver chiesto alla prefettura di valutare strutture “alternative” per garantire la “sicurezza dei migranti, degli operatori e di tutta la città”, la Prefettura si affrettava a dire che i protocolli sanitari e le norme igieniche sono rispettate, senza dire una parola sulla richiesta di chiudere i centri e distribuire i migranti in case per evitare che vivano e dormano ammassati. Viene da chiedersi in che lingua Comune e Prefettura abbiano parlato per riuscire ad ignorarsi in questo modo. Certamente non con la lingua della nuova giunta regionale che al momento non sembra avere il coraggio neanche di fare una dichiarazione pubblica su questo problema. Tutti sembrano monitorare la situazione, ma nessuno prende l’iniziativa.
Nel frattempo, sappiamo che un migrante del Mattei presenta dei sintomi di tipo influenzale, ma non è dato sapere se si tratti di Covid-19, neanche se sia stato disposto il tampone per accertarlo. Quel che è certo è che l’unica misura adottata è stata quella di metterlo in isolamento in uno dei container in cui normalmente i migranti del centro vengono stipati. Gli altri migranti hanno chiesto di avere almeno delle mascherine, ma chi gestisce il centro sembra aver risposto che non è necessario se non si hanno sintomi. A quanto pare è sufficiente avere un kit di pulizie per igienizzare stanze affollate. Mentre a Milano i migranti di un centro di accoglienza sono stati trasferiti dopo il primo caso accertato di coronavirus, a Bologna il Mattei è stato sostanzialmente blindato. Ora dalla struttura esce soltanto chi è costretto ad andare a lavorare per non essere licenziato e avere un reddito che gli consenta di ottenere o rinnovare un permesso di soggiorno. Chi nei palazzi di Comune, Regione e Prefettura sta con le mani in mano si sta assumendo le responsabilità di un potenziale contagio diffuso di fronte alla città.
#Stiamoacasa è l’invito del governo per proteggere tutti dal Covid-19. Un decreto dopo l’altro sono state promosse misure per mettere in sicurezza tutti. Ma non chi deve lavorare per un salario o – peggio – per un salario che paga il permesso di soggiorno e con esso il diritto di restare nel territorio del contagio. Ancora meno chi dopo aver lavorato per pochi euro all’ora è costretto a dormire ammassato in centri di accoglienza. Non sono molte le fabbriche chiuse e queste chiusure sono state accettate da padroni, confederali e governo soltanto dopo scioperi e mobilitazioni. I magazzini della logistica lavorano a pieno ritmo. Alcuni sindacati hanno dichiarato la sospensione del lavoro di driver e facchini contro aziende e cooperative che hanno un’idea piuttosto interessata di che cosa sia essenziale e che cosa no. Eppure, il rischio è che questi scioperi siano facilmente aggirati arruolando migranti richiedenti asilo dalle stesse strutture di accoglienza che le istituzioni non vogliono chiudere. Questo sta succedendo nel nord della logistica e succederà al sud dove il coronavirus non fermerà la raccolta estiva a favore della grande distribuzione. Nel frattempo, centinaia di migliaia di badanti, per lo più donne, per lo più migranti, per lo più in nero, stanno rischiando il lavoro, la salute o di essere forzate in casa con i propri assistiti.
#Stiamoacasa è l’invito che arriva ogni giorno anche dal comune di Bologna e dalla giunta regionale dell’Emilia-Romagna. Per quanto sia democratica, accogliente e coraggiosa non ci aspettiamo che la Regione dica qualcosa sullo sfruttamento del lavoro migrante, tantomeno al tempo del corona virus. Non abbiamo dubbi che Prefettura, Comune e Regione condividano la linea del governo dovendo preservare la produttività dell’area metropolitana e dell’intera regione. Tuttavia non è accettabile che in queste due settimane, dinanzi alla denuncia delle condizioni dei migranti nei centri di accoglienza, siano riuscite soltanto a pronunciare parole vuote. Che cosa succederà quando al Mattei, o in un altro centro della città o della regione, sarà accertato il primo caso di coronavirus?