Per Vakhtang, ammazzato al CPR di Gradisca per un permesso di soggiorno. Il 15/02 manifestiamo anche per lui!

Il 18 gennaio, nel Cpr di Gradisca d’Isonzo, Vakhtang Enukidze, un migrante georgiano, è morto ammazzato di botte. I giornali dicono che Vakhtang le botte se le è andate a cercare in una rissa, mentre decine di testimoni, tra cui i suoi compagni di reclusione, dicono che le botte gliele hanno date gli agenti di polizia. Una cosa sappiamo per certo: quando Vakhtang è morto i migranti nel centro stavano protestando da giorni, in molti tentando la fuga, scappando dal destino del rimpatrio e dall’inferno di mesi di vita sprecati tra quelle mura, e la polizia è intervenuta con cariche violente. E sappiamo anche un’altra cosa: Vakhtang è morto perché non aveva i documenti. Perché in Italia la politica delle commissioni territoriali è di negare il più possibile i documenti ai richiedenti asilo e quella delle questure di ostacolare – e ritardare – il più possibile il rilascio o il rinnovo del permesso per lavoro. Perché in Italia se un migrante non ha i documenti finisce in una prigione amministrativa chiamata Centro per il rimpatrio, che ai migranti toglie con la violenza – e a volte con la morte – quello per cui hanno lottato: la libertà di movimento. Vakhtang è morto di mancanza di permesso di soggiorno, perché anche di questo i migranti muoiono in Italia.

Vakhtang Enukidze, morto nel Cpr di Gradisca il 18 gennaio

Il Cpr di Gradisca, aperto da appena un mese, era d’altronde l’ennesimo esempio della «discontinuità», annunciata trionfalmente dal nuovo governo e dalla ministra Lamorgese, ma che per ora si è vista solo nell’aver rimpatriato più migranti di quanto abbia fatto Salvini. Tra i quali, con uno zelo davvero sorprendente, i compagni di camera di Vakhtang, testimoni della sua morte, immediatamente rispediti in Egitto qualche giorno dopo i fatti. In realtà, in perfetta continuità con il decreto Minniti-Orlando, che prevedeva un Cpr in ogni regione, e con il primo decreto Salvini, che ha allungato i tempi di permanenza da 90 a 180 giorni, Lamorgese non solo ha confermato i trattati con la Libia, ma ha rilanciato la politica delle reclusioni e delle espulsioni e l’apertura di diversi nuovi Cpr. Queste nuove aperture completano un piano complessivo che punta a tenere i migranti in uno stato di precarietà e di povertà, a confinarli in uno spazio sempre più ristretto, limitato alla gabbia dell’accoglienza, allo sfruttamento sul lavoro o al rischio perenne di essere reclusi e poi espulsi. Il Coordinamento Migranti ha denunciato più volte come la politica dei dinieghi, la difficoltà ad ottenere documenti in tempi rapidi, il gioco congiunto di commissioni territoriali, prefetture, questure e comuni che richiedono documenti non previsti dalla legge, rendono la vita dei migranti un’attesa nell’assoluta insicurezza e sempre sulla soglia della clandestinità. Per chi attraversa quella soglia, invece, il destino è la reclusione e infine il rimpatrio. I Cpr, quando non ammazzano, sono l’ultimo ingranaggio di un meccanismo di selezione dei migranti che serve a produrre continuamente una forza lavoro da ricattare e da sfruttare e che rende la loro vita impossibile. Nei Cpr marciscono le vite dei migranti di scarto, donne e uomini superflui che non vale più la pena sfruttare, ma servono anche a ricordare a tutte e tutti i migranti quale destino li attende oltre la soglia della clandestinità.

Il governo intimidisce, ma i migranti lottano. Usa i Cpr per fare paura, ma la resistenza dei migranti non si arresta, dentro e fuori dai centri. Vakhtang, come tanti prima di lui in mare, in terra, nei centri di reclusione, ha pagato le sue aspirazioni e la sua libertà con la morte. Per questo la rabbia di tante donne e uomini per la perdita di un fratello e la loro lotta contro i Cpr è parte della nostra lotta per la libertà di tutte e tutti i migranti.

Il 15 febbraio a Bologna saremo in piazza anche per ricordare Vakhtang e per chiedere la chiusura di tutti i Cpr. Saremo in piazza per ricordare che non si può morire per mancanza di permesso di soggiorno.

Non potete fermare la libertà in movimento!