VOCI DALLA GRANDE FABBRICA DELL’INTERPORTO/1

«Non vedi che sto parlando al telefono n*gro di merda?!!» è quello che un capoturno ha urlato a M, facchino migrante che lavora in un grande magazzino dell’Interporto di Bologna. Evidentemente non basta il ricatto dei documenti per tenere i migranti al “loro posto” (ovvero sempre in silenzio a lavorare), serve il razzismo sbattuto in faccia.

Così, alle lamentele di M, i capi del magazzino e dell’agenzia interinale che gli ha dato il lavoro hanno cercato di prendere tempo, pensando evidentemente che alla lunga M avrebbe ceduto e il caso si sarebbe sgonfiato da sé. M, però, è determinato e non ha paura. Di fronte all’attendismo dei capi si è rivolto a un attivista del Coordinamento migranti e delegato sindacale del Si Cobas, e tutti i facchini (in larga maggioranza migranti) hanno incrociato le braccia costringendo il magazzino a fermarsi. Dopo la protesta del Si Cobas, l’azienda è stata costretta a sospendere per 10 giorni il capoturno razzista.


Il capoturno avrà la sua “lezione antirazzista”, ma M ha molto di più. Ha coraggio e ha la consapevolezza che solo la lotta collettiva può dare giustizia alle donne e agli uomini migranti. Solo la lotta collettiva è quella che ti permette di guadagnarti una vita migliore, mentre tutti ti dicono di abbassare la testa perché il mondo va così e c’è chi comanda e chi ubbidisce.