«Siamo in piazza, siamo in sciopero e non abbiamo più paura di parlare!». INTERVISTA alle migranti in sciopero alla Ibis di Batignolles, Parigi

Pubblichiamo l’intervista a Sylvie, lavoratrice migrante, cameriera presso l’hotel Ibis Batignolle a Parigi, parte del gruppo Accord, dal 17 luglio in sciopero contro le condizioni lavorative e salariali imposte dalla SNT, multinazionale cinese a cui l’hotel ha subappaltato la gestione delle pulizie. Le 24 lavoratrici denunciano lo sfruttamento e l’oppressione dentro la SNT, che fa pagare alle femmes de chambres i bassi costi dei servizi grazie ai quali ha vinto il subappalto. Le lavoratrici sono infatti pagate a cottimo, in base al numero di stanze che riescono a pulire, tutte hanno contratti part-time rinegoziati ogni due anni al ribasso, non hanno pause, non hanno tutele, sono divise, gerarchizzate, spostate nei diversi hotel – grazie a una clausola di mobilità – ogni volta che c’è bisogno e ogni volta che avanzano pretese cui i padroni non hanno intenzione di dare risposta.

Ibis1Il rispetto dei ritmi di lavoro logoranti è stato a lungo imposto attraverso la minaccia delle violenze sessuali, subite effettivamente da una delle lavoratrici, e del licenziamento in caso di denuncia. Il fatto poi di essere migranti, legate a un permesso di soggiorno, ha reso ancora più difficile far ascoltare le proprie rivendicazioni ai padroni. Eppure tutto ciò non è stato sufficiente per mettere a tacere le lavoratrici di Ibis, che da cinque mesi incrociano le braccia e non smettono di denunciare lo sfruttamento, la violenza e il razzismo che il gruppo Accord, come moltissime altre aziende che si servono di società in appalto, impongono alle e ai migranti. Da mesi le femmes de chambres scendono in piazza con i lavoratori dei servizi di pulizia del gruppo CPN di Sèvres, con i gilets noirs e con i lavoratori sans papiers del servizio di poste Chronopost di Afortville (di cui a breve pubblicheremo un’intervista) per ottenere insieme la regolarizzazione collettiva, per dire basta alla sous-traitance (subappalto), basta al lavoro in nero, basta allo sfruttamento. Il 23 novembre le lavoratrici di Ibis sono state in prima linea nella manifestazione contro la violenza maschile sulle donne perché sanno bene che lo sfruttamento che subiscono fa leva sulla subordinazione imposta loro dentro e fuori il luogo di lavoro.  La lotta delle lavoratrici di Ibis va infatti al di là di una lotta categoriale contro una specifica azienda, ma denuncia un complessivo sistema di sfruttamento che si regge su razzismo e patriarcato e mostra come la lotta per il salario non possa fare a meno né dell’opposizione al comando patriarcale sul lavoro né dell’opposizione contro il razzismo e il ricatto del permesso di soggiorno. Per questo, la lotta delle femmes de chambres, così come la lotta del lavoro migrante in tutta Europa, mostra la necessità di un’iniziativa transnazionale per rivendicare la libertà delle e dei migranti, un permesso di soggiorno europeo senza condizioni.

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>> Coordinamento Migranti: Da cinque mesi avete iniziato uno sciopero contro le condizioni di lavoro imposte dalla società SNT, cui l’hotel Ibis ha appaltato i servizi di pulizia. Puoi raccontarci i motivi e le rivendicazioni della vostra lotta?

Sylvie: Sono quasi cinque mesi che siamo in sciopero. Stiamo scioperando perché le ore supplementari di lavoro non sono pagate, il lavoro che facciamo non è riconosciuto, gli orari e i ritmi sono infernali, siamo pagate in base al numero di stanze che riusciamo a pulire all’ora, pretendono che ne facciamo tre ogni mezz’ora. Per questo rivendichiamo che i nostri diritti siano riconosciuti dal padrone, perché senza migliori condizioni di lavoro non possiamo più andare avanti.

>> CM: Le condizioni contrattuali e lavorative che vi sono imposte dalla società in appalto sono diverse da quelle previste per le lavoratrici impiegate direttamente da Ibis. Questo tipo di strategia spesso divide e crea gerarchie fra le lavoratrici. Nel vostro caso i padroni sono riusciti effettivamente a dividervi o le altre lavoratrici vi hanno sostenuto nella vostra lotta?

S: Si, ci sono lavoratrici impiegate direttamente da Ibis, il vero problema è il sistema di subappalti ed esternalizzazioni. Le condizioni che impone la società in appalto dipendono dal contratto che ha con il gruppo che gli affida il lavoro. Se il contratto è vinto grazie a una concorrenza a ribasso e quindi prevede servizi a costi molto bassi, come in questo caso, la società impone condizioni di lavoro pesanti e bassi salari in modo da guadagnare di più. Il vero problema quindi è proprio il subappalto. Sarebbe molto meglio lavorare direttamente per l’hotel, ma l’hotel non vuole, non gli conviene. Partiamo uguali con le lavoratrici dell’hotel Ibis, ma poi si crea una divisione perché non siamo pagate allo stesso modo. Qual è la tecnica del subappalto? Quando arrivano ci dividono per guadagnare di più. Da noi è successo esattamente questo, sono arrivati e ci hanno divise, con molte di loro adesso neanche ci parliamo più perché alcune di loro hanno un buon salario quindi gli fa comodo che noi ne abbiamo uno più basso. Chi non si è fatto manipolare da queste tecniche per dividerci sono quelle che stanno più in basso: noi abbiamo detto che tutto ciò deve finire, dura da troppo tempo e siamo uscite dal silenzio.

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>> CM: Alcuni mesi fa una di voi ha subito violenze da uno dei datori di lavoro. Sono frequenti le molestie nel vostro lavoro? 

S: Non posso parlare per gli altri hotel perché lì non so cosa succeda, ma nel mio hotel una nostra collega è stata stuprata dal vecchio direttore di Ibis, che è stato coperto dagli avvocati del gruppo Accord. Nel frattempo lei è finita nella merda, la questione adesso è diventata penale. Noi aspettiamo, ma intanto la nostra collega non lavora più.

>> CM: Voi cosa avete fatto quando siete venute a saperlo?

S: Non potevamo fare nulla perché eravamo sotto pressione, non potevamo parlare, non potevamo neanche metterci nei corridoi per confrontarci. Ci hanno fatto tacere. Ci hanno minacciato, ci hanno detto che se parlavamo ci avrebbero licenziate, dovevamo solo continuare a lavorare. Alcune hanno avuto paura quando la polizia è venuta a interrogarci, alcune non hanno detto la verità perché temevano di perdere il lavoro. Ma sapevamo che ci stavano manipolando e volevamo parlare. Adesso che siamo uscite fuori e siamo in sciopero non abbiamo più paura di parlare, le persone devono sapere che c’è stato uno stupro.

>> CM: Marlene Schiappa, ministra delle pari opportunità, ha dichiarato di voler proteggere le lavoratrici che fanno le pulizie negli hotel, ma non è stata adottata nessuna misura per combattere né le violenze sessuali sul lavoro, né lo sfruttamento delle lavoratrici degli hotel…

S: Mme Schiappa è venuta a incontrarci al picchetto, ma non è andata bene. C’ha convocato da lei, siamo andate nel suo ufficio, ma da quando ci siamo andate niente è cambiato e noi siamo ancora in sciopero. Se siamo ancora qui vuol dire che lei non ha mosso un dito, dice che vuole proteggerci, ma non vedo in che modo. C’è uno sciopero di donne, 24 donne in piazza sotto la pioggia per 5 mesi, e questo ha degli effetti sulle donne che sono sole con i bambini e ha effetti sui nostri portafogli: abbiamo affitti da pagare e non ci riusciamo più. Già quando lavoravamo avevamo difficoltà, figuriamoci adesso che non lavoriamo più, come facciamo ad arrivare alla fine del mese? Siamo nel XXI secolo, lei ci ha ascoltate, sa che queste sono le nostre condizioni, eppure noi siamo ancora in sciopero, lei non ha fatto nulla.

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>> CM: Alla fine del mese scorso avete organizzato uno sciopero insieme ai lavoratori migranti di Chronopost, cosa unisce le vostre lotte?

S: Il legame è il lavoro non riconosciuto, non dichiarato e sfruttato. La Posta per me è lo Stato, se lo Stato permette di impiegare persone che non hanno i documenti per trarne profitto questo è lavoro in nero. Lo Stato dovrebbe mettere fine a tutto ciò perché sa bene cosa succede. Ma finché lo Stato stesso ne trae profitto se ne sta lì tranquillo, ma quando noi iniziamo a tirar fuori la voce e ad uscire dal silenzio lui se ne lava le mani. Quello che ci unisce è il lavoro non riconosciuto e sfruttato, i ritmi infernali. Quelli che non hanno documenti hanno bisogno di questo lavoro, ma una volta che il lavoro viene dato è necessario che poi siano regolarizzati. Invece i padroni vogliono che lavorino in nero per poterli pagare meno senza dargli nessuna tutela. Ciò che ci unisce quindi è questo tipo di lavoro.

>> CM: Tra di voi c’è qualcuna senza documenti?

S: No, noi abbiamo tutte i documenti, abbiamo un contratto a tempo indeterminato, io lavoro per questa società da più di sette anni, alcune colleghe da dieci, altre da quindici anni.

Il fatto di essere donne e nere però ha un ruolo determinante. Non possiamo nasconderlo. Bisogna dirlo apertamente: è perché siamo nere che non ci prendono in considerazione. Credono che siamo donne povere che non sanno né leggere né scrivere. Se fossimo state donne arabe in dieci giorni avremmo risolto il problema. Non è normale che siamo qui da cinque mesi al freddo, non riusciamo più a dedicare tempo alla famiglia perché non ci siamo mai, i bambini si devono dare da fare da soli perché le mamme stanno lottando. E allora bisogna dire la verità, bisogna mettere tutto sul tavolo e dire la verità.

>> CM: Qui anche i Gilets Noirs hanno iniziato mobilitazioni, hanno fatto occupazioni e continuano a riunirsi in assemblee per denunciare il nesso fra la mancata regolarizzazione e lo sfruttamento del lavoro migrante. Voi avete preso parte alle loro lotte?

S: I Gilets noirs sono sempre ai nostri picchetti, eccoli lì, li vediamo sempre e se loro sono in lotta anche noi li sosteniamo. Ci sosteniamo sempre reciprocamente, facciamo tutto il possibile per riuscirci.

>> CM: Il 5 dicembre è stata chiamata una grande giornata di sciopero generale, che proseguirà per una quindicina di giorni, contro la riforma delle pensioni, ma più in generale contro la precarietà e per avere migliori condizioni di lavoro, il vostro sciopero come si inserisce in quella giornata? Vi prenderete parte?

S: Se saremo ancora qui il 5 dicembre parteciperemo. Certo, perché sono in gioco i nostri diritti e noi non ci fermeremo.