Il 13 marzo lavoratrici e lavoratori migranti della DHL di Bologna, durante lo sciopero del sindacato SiCobas, hanno visto arrivare davanti al loro picchetto un pullman pieno di migranti, reclutati in fretta e furia per sostituirli. Erano per lo più richiedenti asilo in attesa della commissione o del ricorso dopo aver ricevuto il diniego. Alcuni di questi, assunti con contratti a breve termine tramite agenzia interinale in altri magazzini, sono stati spostati alla DHL, in esplicita funzione antisindacale, con l’obbiettivo di neutralizzare lo sciopero, dividere i migranti e metterli gli uni contro gli altri. Non si tratta di un singolo caso, sappiamo che altre aziende non solo a Bologna stanno mettendo in atto queste pratiche per indebolire le lotte.
Nei magazzini della logistica è oggi evidente il legame tra lo sfruttamento del lavoro migrante e il ricatto del permesso di soggiorno. Questo nesso, che tutte le migranti e i migranti che vivono in Italia, da poco o da molto, conoscono alla perfezione sotto il nome di legge Bossi-Fini, ritorna prepotentemente d’attualità con la nuova legge Salvini, volta a mettere al lavoro, in modo povero e sfruttato, tutti quelli che chiedono protezione internazionale. L’inchiesta che stiamo portando avanti mostra come gli effetti della Legge Salvini abbiano un impatto immediato sui luoghi di lavoro: è sempre più alto il numero di migranti che ogni giorno escono dalle strutture di accoglienza per fare tirocini, lavorare con brevi contratti o in nero. Le agenzie interinali, le cooperative e le aziende stanno gestendo i richiedenti asilo come forza lavoro usa e getta per indebolire il potere che, negli ultimi anni, i migranti sono riusciti a conquistare nei magazzini della logistica. A questo razzismo di governo, che vuole dividere i migranti e mettere in competizione chi ha un precario permesso di soggiorno in tasca con chi aspetta l’esito di una commissione territoriale, bisogna opporsi senza paura creando nuovi livelli di comunicazione e potenziando le lotte per sottrarci insieme al ricatto di padroni e istituzioni.
Perciò continuiamo la nostra inchiesta con una doppia intervista a Mamadou (nome di fantasia), operaio e richiedente asilo, e Karim, delegato del sindacato SiCobas.
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