Il razzismo democratico e la complicità delle istituzioni #2 La Questura e la sicurezza del lavoro nero

Insieme all’Associazione Senegalese di Bologna, alla Diaspora Ivoriana dell’Emilia-Romagna, proseguiamo la campagna di denunce contro il razzismo istituzionale che pervade il sistema dell’accoglienza e gli effetti concreti che ha sulla vita delle e dei migranti e di tutti. 

Comunicato #2

Due mesi dopo aver fatto domanda di protezione internazionale i richiedenti asilo – per legge – possono lavorare. Solo che con i documenti precari forniti dalla Questura di Bologna ricevuta della consegna del modello C3 e cedolino in attesa di consegna del permessoquesta possibilità nei fatti non esiste. Prendiamo un caso concreto. Un migrante trova un lavoro ma prima di firmare il contratto deve fornire i suoi dati a chi lo assume, compreso il numero di permesso di soggiorno e il codice fiscale. L’attestato di ricevuta del modello C/3, che per la legge e i suoi esecutori in Questura ha tutta l’aria di essere un permesso di soggiorno, include un codice fiscale provvisorio che i datori di lavoro non riconoscono. Così, per tenersi quel lavoro che sembrava aver conquistato, il migrante va all’Agenzia delle Entrate per avere un codice fiscale definitivo, ma non può ottenerlo senza un documento di riconoscimento valido. Il fatto è che l’Agenzia delle Entrate non riconosce come tale la ricevuta del modello C/3, nonostante le convinzioni della Questura! Non solo: se mai il migrante riuscisse a superare questo ostacolo, il datore di lavoro gli chiederà di aprire un conto in banca su cui versare lo stipendio. E come può aprirlo senza un permesso di soggiorno e un codice fiscale ritenuti validi? Ecco l’odissea a cui sono condannati i richiedenti asilo, “colpevoli” di volersi trovare un lavoro.

Così, bloccato nel labirinto del razzismo istituzionale che contraddistingue il sistema dell’accoglienza, il richiedente asilo può dire addio al lavoro e sopportare, oltre al danno, la beffa di essere additato come uno che vive a spese degli italiani. Che cosa ha da dire la Questura di Bologna di tutto questo? Non si rende conto che in questo modo alimenta visioni razziste, mentre rende sempre più insicura la vita dei migranti lasciandoli senza lavoro? Non crede che questo sistema e le sue inadempienze spingano verso il lavoro nero, come quello che i migranti svolgono nell’ortofrutta o ai banchi dei commercianti alla Piazzola per due ore all’ora? Il fatto è che il lavoro nero è l’unico che puoi permetterti se hai in mano dei documenti precari!