Insieme all’Associazione Senegalese di Bologna, alla Diaspora Ivoriana dell’Emilia-Romagna, abbiamo deciso di iniziare una campagna di denunce contro il razzismo istituzionale che pervade il sistema dell’accoglienza e gli effetti concreti che ha sulla vita delle e dei migranti e di tutti.
Comunicato #1
I migranti che fanno richiesta di asilo in Italia hanno diritto – secondo la legge – a un permesso di soggiorno provvisorio. I diritti dei migranti non sono però mai stati in cima alle preoccupazioni della Questura di Bologna che, invece del permesso di soggiorno, consegna un attestato di ricevuta della domanda di asilo (modello C/3) che – sempre secondo la legge – dovrebbe sostituire il permesso e certificare l’identità del titolare. Peccato che non faccia nessuna delle due cose. Ci segnalano infatti che perfino i poliziotti in servizio per la città non lo riconoscano come documento valido. E come potrebbero se fino a qualche tempo fa questo foglio era privo di foto e di un timbro che ne certificasse la validità? C’è voluta una protesta da parte dei migranti per apporre una foto e un timbro! A Bologna sono quindi i migranti a ricordare alla Questura il dovere di attenersi alla legge e di non attentare almeno alla sicurezza della loro identità.
Con un ufficio dedicato all’asilo in cui pochi poliziotti impreparati non trovano il tempo di rispondere al telefono per fissare gli appuntamenti per il ritiro del permesso, la Questura di Bologna – forse troppo impegnata a garantire le libere manifestazioni del razzismo fascista in città – accompagna i migranti verso la clandestinità facendo delle procedure di rilascio e rinnovo del permesso un percorso a ostacoli che si allunga continuamente. Prima di ottenere un permesso di soggiorno i migranti devono sottostare a una trafila che dura più di un anno e che prevede prima il rilascio della ricevuta del modello C/3 e poi, dopo diversi mesi, un cedolino. Documenti a norma di legge, ma che precludono ai migranti la possibilità di costruirsi una vita. Come vedremo nelle prossime denunce: con questi documenti surrogati e precari i migranti non possono trovare un lavoro, avere un codice fiscale e aprire un conto in banca, non possono neanche avere la tessera sanitaria. Con questi documenti possono solo girare a vuoto, in attesa di un diniego o di diventare il bersaglio di un’insicurezza che li colpisce in prima persona.