Hanno sparato a sei migranti, cinque uomini e una donna. Gli hanno sparato perché erano neri, dato che questo era il solo segno distintivo che li ha fatti diventare dei bersagli. È stato un maschio bianco a premere il grilletto. Ci basta questo.
Non ci interessa andare dietro alla psicologia d’occasione che già sta facendo di chi ha sparato uno squilibrato, mosso dalla paura, dalla rabbia o addirittura dall’amore. Ci interessa invece chiamare le cose con il loro nome. Sparare ai neri è razzismo nella sua forma più brutale. È la coerente messa in pratica della difesa della «razza bianca a rischio» di cui parlava qualche settimana fa Attilio Fontana, candidato leghista alla presidenza della Regione Lombardia. Con questa coerenza, poiché un nero è stato accusato dell’omicidio di una donna bianca, i difensori della patria suggeriscono che è comprensibile che un maschio bianco tenti di ammazzare i neri in quanto razza, uomini o donne che siano. La logica è tanto violenta quanto banale. È la logica di Forza Nuova che, in nome del politicamente scorretto, si schiera con chi ha sparato. Ed è quella di Salvini che in nome della sicurezza scarica le responsabilità sui migranti, colpevoli di «invadere» e colorare in maniera poco decorosa un paesaggio urbano da sbiancare.
Non è un caso che chi ha sparato si sia candidato l’anno scorso con la Lega e frequenti da tempo ambienti dell’estrema destra maceratese. Mentre il governo pensava di evitare «l’invasione» e salvare il tessuto democratico del paese con i campi di detenzione in Libia e lasciando mano libera agli schiavisti, il razzismo si nutriva di parole sporche di sangue e poi passa ai fatti. C’è allora un filo rosso sangue che lega il razzismo esplicito e violento al razzismo democratico, che si rivela nei suoi lapsus e si camuffa con le vesti rispettabili e le argomentazioni del buonsenso. La paura che il Ministro degli interni ama ascoltare e quindi fomentare si è mostrata nei suoi esiti più violenti. Solo che, diversamente da quanto sostiene Gentiloni, chi ha sparato non «ha colpito cittadini inermi». Ha colpito quegli stessi migranti che lo Stato italiano vuole respingere, espellere e rimpatriare. Gli inviti alla calma di Renzi vogliono solo coprire questa realtà. La calma viene buona quando si tratta di banalizzare il terrore contro i migranti, in modo da nascondere la propria complicità politica con il bianco che ha premuto il grilletto. La parola d’ordine è: non inquietate il votante bianco. Il razzismo democratico sta tutto qui. Nell’invito ad abbassare i toni, che per i migranti suona come un abbassate la voce, non mettete in piazza la condizione di ricatto a cui noi democratici abbiamo lavorato così bene e che vi rende i bersagli più facili di una rabbia che altrimenti finirebbe per colpire noi e i nostri amici precarizzatori.
Che Salvini abbia lanciato la sua campagna nazionale arruolando la destra più violenta è noto da tempo. Sarebbe però troppo facile addossare al barbaro leghista la responsabilità esclusiva del terrore razzista scatenato contro i migranti. La campana suona oggi per il razzismo democratico, che per anni ha utilizzato il leghismo come foglia di fico per portare il razzismo istituzionale oltre ogni limite. D’altra parte, c’è chi nel partito democratico asserisce candidamente che aprire nuovi CIE per espellere i migranti «delinquenti» permetterà non solo di fare felice Minniti, ma anche di ridurre il numero degli stupri. La stessa cosa pensata e dichiarata, con lo stesso bianco candore, da chi ha sparato e dai suoi sostenitori. Quando qualsiasi cosa diventa lecita per poter sbandierare una diminuzione degli sbarchi, quando l’unica novità che si è capaci di proporre è un’accoglienza fondata sullo sfruttamento, quando si continuano a dividere gli uomini e le donne in base alla loro utilità economica, quando un permesso di soggiorno diventa lo stigma per affermare gerarchie sociali e nei luoghi di lavoro, quando si giustifica il razzismo più sfacciato e lo si alimenta immaginando nuovi centri di detenzione ed espulsione, quando il razzismo serve a nascondere la violenza patriarcale contro le donne, quando nel nome di una campagna elettorale permanente nessuno osa rovesciare i termini del discorso, può capitare – e non è la prima volta – che qualcuno decida di fare un passo in avanti e sparare. La campana suona però anche per noi, perché non è più il momento di mostrarsi buoni per piccoli calcoli di bottega, ma di costruire percorsi al fianco e dalla parte delle migranti e dei migranti.