No one is illegal! Lo hanno urlato in 100mila per le strade di Milano, donne e uomini, migranti e italiani, per dire basta ai muri e al razzismo dilagante. Se nessuno è illegale, allora è inaccettabile la logica razzista di un governo che, incapace di rispondere all’insicurezza sociale prodotta da anni di crisi economica e di precarizzazione, individua nei migranti il pericolo facendo della sicurezza la moneta di scambio per risarcire illusoriamente il benessere perduto. È con questa presa di posizione che migliaia di migranti sono usciti fuori dai luoghi isolati dell’accoglienza, delle comunità, del lavoro portando la manifestazione oltre la rivendicazione di una città aperta e solidale che non ha paura perché considera le migrazioni una risorsa e un’opportunità. L’impegno quotidiano di antirazzisti, solidali, operatori, volontari e studenti che sono scesi in piazza, spesso anche contro le resistenze di associazioni e cooperative che fanno dell’accoglienza la loro impresa economica, è senza dubbio ciò che rende importante il 20 maggio. Ma la sua rilevanza politica sta nella tensione che la presenza dei migranti e la loro presa di parola hanno prodotto sulla società e sulle istituzioni, scuotendole e determinando posizionamenti inaspettati che hanno inciso più del ‘no sociale’ al referendum costituzionale.
Piuttosto che farsi prendere da facile entusiasmo è però bene chiedersi che cosa resterà di Milano. Il 20 maggio diventerà una data importante – come continua ad esserlo il primo marzo per chi vive in questo paese da più anni – se almeno una parte della società che ha manifestato sarà disposta a rigettare il mantra democratico che coniuga accoglienza e sicurezza, se non cederà al fascino della rappresentanza pur sostenendo la necessità di una legge sulla cittadinanza che sancisca lo ius soli, se vorrà puntare il dito contro istituzioni in buona misura sorde, se saprà in altre parole essere all’altezza dell’azione quotidiana dei migranti i quali, più che essere dei semplici transitanti, si muovono sfidando il regime dei confini, il razzismo istituzionale e lo sfruttamento. Perché dire oggi che nessuno è illegale significa agire per rompere il ricatto che pende sulla vita di milioni di uomini e donne messe al lavoro in base ad un permesso di soggiorno o umanitario, una protezione sussidiaria, uno status di rifugiato o come irregolari sotto minaccia di espulsione
Questa è la sfida che i migranti, con la loro costante presenza e il loro agire quotidiano, pongono anche alla manifestazione del 27 maggio a Bologna, dove la tensione che attraversa società e istituzioni svanisce nel gioco del consenso fra una maggioranza che proclama l’efficienza della sua accoglienza e una opposizione che rivendica una città accogliente. In questo gioco noi staremo dalla parte dei migranti perché per loro l’accoglienza è innanzitutto quella che l’Unione europea e i suoi Stati hanno istituzionalizzato in questi anni di crisi. È l’accoglienza basata sulla chiusura di ogni canale legale di accesso al territorio europeo, che lascia ai migranti solo la possibilità di presentarsi come rifugiati o richiedenti asilo, con la costante minaccia che accordi bilaterali con paesi terzi rendano impraticabile anche questa soluzione rendendo ancora più precaria la loro condizione. È l’accoglienza unilaterale delle istituzioni, delle loro commissioni territoriali e dei loro tribunali, che decidono quali paesi sono sicuri e quali no, quali storie di violenza e sfruttamento sono verosimili e meritano protezione e quali no, dividendo in modo del tutto arbitrario i migranti tra richiedenti asilo e immigrati economici.
L’accoglienza è in questo senso una gabbia d’acciaio che spoglia i migranti della loro libertà di movimento: avanzata la richiesta d’asilo, chi viene consegnato al circuito dell’accoglienza rimane incatenato alla Prefettura per il rinnovo del permesso di soggiorno, non può muoversi liberamente lasciando il comune, l’istituzione o la cooperativa che lo ha accolto se non vuole perdere il diritto a un tetto e a un pasto. Il tempo di questa accoglienza forzata è quello lungo e frustrante che viene impiegato per rispondere con sempre maggiore frequenza con il rifiuto dell’asilo. Le sue regole sono quelle volute da Minniti e Orlando per gestire le conseguenze della politica di negazione dell’asilo: eliminando un grado di giudizio per la richiesta d’asilo, istituendo sezioni speciali dei tribunali per velocizzare le procedure, aprendo nuovi centri di detenzione per l’espulsione. Il diniego dell’asilo e la negazione della libertà di muoversi e restare sono dunque l’altra faccia dell’accoglienza: la faccia brutale di un razzismo istituzionale che governa una forza lavoro quanto mai precaria che, sul sempre confine della clandestinità, può essere impiegata gratuitamente nei lavori socialmente utili, oppure può entrare regolarmente ma in una condizione di inferiorità nel mercato del lavoro, oppure ancora può arrangiarsi con il lavoro nero. Tutto ciò mentre i fondi stanziati per l’accoglienza arricchiscono il triste mercato della benevolenza e della criminalità organizzata.
Il Coordinamento Migranti sarà alla manifestazione del 27 maggio a Bologna convinto che rivendicare una città accogliente non basta a liberarci dal razzismo istituzionale. Marciare per l’accoglienza, praticare e rivendicare solidarietà, può interrompere la retorica della paura. Potrebbe persino aprire margini di contrattazione se l’azione collettiva non venisse rinchiusa nell’angusto spazio rappresentativo del sistema politico. Perché Bologna diventi realmente una città accogliente bisogna produrre le condizioni politiche per la sua costante forzatura: la questione che abbiamo di fronte non è inseguire la dignità dell’accoglienza, ma rivendicare la libertà di muoversi e di restare dei migranti contro politiche che vogliono condannarli a un destino di povertà e sfruttamento. Lo stesso destino che l’Europa neoliberale e il suo governo della mobilità assegnano a precari, operai e studenti che non possono essere espulsi. Questo dicono le mobilitazioni dei e delle migranti che in questi mesi hanno fatto dell’accoglienza un costante campo di battaglia, rendendo così possibili le manifestazioni di Milano e Bologna: puntando il dito contro la politica dei dinieghi e delle espulsioni, hanno indicato la necessità di aggredire le condizioni politiche che fanno dell’accoglienza dell’Unione europea, dei suoi Stati e dei suoi comuni una gabbia d’acciaio contro la loro libertà di muoversi e restare. Se nessuno è illegale, allora saremo in piazza per lottare contro i dinieghi, per opporci alle espulsioni, per rivendicare un permesso di soggiorno europeo per tutti e senza condizioni contro i confini dentro e fuori l’Europa.